giovedì 3 settembre 2015
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È uno dei paradossi di Milano. Da un lato circa 2.600 sfratti eseguiti in un anno e 300 famiglie che si trovano in mezzo a una strada pur avendo (sulla carta) l’assegnazione per una casa popolare. Dall’altro 9.800 alloggi pubblici vuoti. «Gli sfratti in esecuzione nell’area metropolitana di Milano sono circa 17.400, di cui 14mila in città – spiega Leo Spinelli, segretario del Sicet, il sindacato degli inquilini  –. Nel 90% dei casi riguardano famiglie che non riescono più ad affrontare i costi dell’affitto». Una vera e propria emergenza, cui oggi si fatica a dare risposte adeguate: «A Milano gli affitti sono molto alti, ma non ci sono interventi per calmierarli e si sono ridotte anche le forme di sostegno al reddito – spiega Spinelli –. Il risultato è che quelle famiglie che prima riuscivano a sostenere le spese per la casa, ora non ce la fanno più». Una situazione che, secondo quanto rilevano i sindacati degli inquilini, ha iniziato a deteriorarsi più di dieci anni fa. E che è stata ulteriormente acuita dalla crisi del 2008. «Gli sfratti riguardano la quotidianità. Questa emergenza si può affrontare solo dando risposte concrete in tempi rapidissimi», commenta don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità. Servono case o appartamenti temporanei, che possano dare un’immediata accoglienza alle famiglie che hanno perso la casa «senza spezzare i nuclei familiari», puntualizza il sacerdote.  All’interno della struttura di via Brambilla, ad esempio, è attivo il progetto “Casa nido” che accoglie due nuclei familiari (rispettivamente di cinque e tre persone) e due madri sole con i figli per un totale di 13 persone. Tre famiglie su quattro sono arrivate al “nido” dopo uno sfratto. Allo stesso modo, la fondazione “San Carlo” gestisce circa 170 appartamenti del patrimonio Aler, del Comune di Milano o delle parrocchie per fronteggiare l’emergenza post-sfratto. «Si tratta di soluzioni provvisorie. Ma da qui inizia un percorso di accompagnamento per aiutare le famiglie a tornare a essere autonome – spiega Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana –. Noi affianchiamo le persone, valutando assieme quali sono i passi da compiere per uscire da questa situazione». Trovare un lavoro che dia un reddito adeguato e una casa che non eroda tutto lo stipendio sono i due obiettivi principali. Traguardi che però richiedono molto tempo per essere raggiunti: perché il lavoro - quando c’è è precario e spesso malpagato. Mentre i prezzi degli affitti sono elevati. «Solo il pubblico più dare una risposta definitiva per quanto riguarda l’esigenza di case a prezzi accessibili per le fasce più deboli», sottolinea Gualzetti.  Ma avere una casa di proprietà o un reddito certo (come la pensione) non rappresentano una garanzia per condurre una vita dignitosa. Ogni mattina, tra le 3mila persone che si mettono in coda davanti all’Opera Pane Quotidiano ci sono tante persone che hanno un tetto sopra la testa, ma non hanno abbastanza soldi per fare la spesa o per pagare le bollette: «Le pensioni se ne vanno tra bollette, Imu e spese condominiali. Tanti anziani hanno una casa, ma non possono grattare i muri per mangiare», spiega Luigi Rossi, consigliere delegato dell’opera Pane Quotidiano.  Tra le persone che chiedono aiuto ai centri ascolto di Caritas Ambrosiana sono sempre più numerosi i disoccupati di lungo periodo (chi non lavora da almeno un anno, ndr), in modo particolare nella fascia d’età che va dai 55 e i 64 anni: troppo giovani per andare in pensione, troppo anziani per trovare una nuova collocazione. E rimettersi in gioco diventa sempre più difficile. «Prima della crisi le persone che venivano a chiedere aiuto ai nostri centri d’ascolto riuscivano poi a staccarsi – commenta Gualzetti –. Oggi troppe famiglie non riescono a uscire dal circuito dell’assistenza, fanno sempre più fatica a tornare a essere autonomi». Un impegno a favore delle fasce più deboli che non conosce distinzioni, a Milano come a Torino. «La stragrande maggioranza di tutto il nostro impegno è rivolto verso la nostra popolazione. Non si tratta di scegliere tra italiani o stranieri. I poveri sono poveri», commenta l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, in un’intervista al Tg2000 rispondendo a una provocazione del leader della Lega Nord, Matteo Salvini.
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