domenica 1 maggio 2016
Intervista al neo presidente della San Vincenzo, che bolla come insufficienti gli intereventi messi in campo dall'esecutivo.
«Il governo faccia di più per i poveri»
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Un «progetto completo per l’inclusione sociale dei più deboli». Questo  serve all’Italia. Antonio Gianfico, a poche settimane dall’elezione a presidente della Fondazione San Vincenzo de’ Paoli, parla dei piani futuri e commenta i recenti interventi sulla povertà messi in campo dal governo: «Solo una piccola cosa, sicuramente importante, ma è poco». Cioè?È un buon inizio, ma è ben lontano dal bisogno reale e dall’aspettativa di inclusione sociale in Italia. Oggi le persone che sono sotto la soglia della povertà sono oltre 4 milioni, quindi sarebbero necessari almeno 7 miliardi di euro per un intervento adeguato. Perché ciò non resti solo un miraggio, il governo deve pensare seriamente a come affrontare il problema in modo strutturale.E la legge delega sulla povertà?Non ne sono entusiasta, credo si sia data poca attenzione al volontariato, sia nei valori, sia nella promozione. Anzi, credo si sia avuto più interesse per i fondi destinati al volontariato che per la sua promozione. Nel dare attenzione al Terzo settore, il volontariato deve essere considerato come parte importante, mentre spesso si ha l’impressione di essere considerati un’appendice. Volendo, si potrebbe pensare anche ad un Quarto settore.

Antonio Gianfico, presidente della San VincenzoSpesso l’attenzione ai poveri sembra relegata agli addetti ai lavori. Come renderla consapevolezza diffusa?Delegare il tema al solo volontariato è una convenienza delle istituzioni per nascondere l’incapacità ad un efficace intervento, come abbiamo visto in questi anni. La mia speranza è che molti legislatori e amministratori ogni tanto escano dalla loro tranquillità per osservare il mondo da vicino e magari spingere, con il proprio esempio, il cittadino ad essere più consapevole.Che significato ha la carità in un momento di crisi economica? Spesso si associa la carità semplicemente all’azione materiale ed in particolare a un’azione meramente economica. Oggi, più che mai, invece la carità, deve essere 'un’arma' per uscire dalla crisi economica e non solo. Possiamo far sì che la crisi, paradossalmente, sia un’opportunità per far ritrovare a ognuno di noi il vero senso della carità: quello di farsi vicini, solidali con chi ha un disagio, come una madre che sostiene il proprio figlio.Quali sono le nuove sfide per la Società di San Vincenzo?La Fondazione ha un ruolo cardine nell’azione politica territoriale e centrale, perché i volontari sono antenne sociali che percepiscono per primi bisogni e possibili risposte. Chiaro è che la San Vincenzo non vuole sostituirsi allo Stato, ma deve impegnarsi per creare il punto di incontro tra le esigenze del fratello in difficoltà e le istituzioni deputate a sostenerlo.Quali progetti ha in mente per il suo mandato?Credo sia fondamentale continuare ad essere credibili e affidabili come lo siamo stati finora. Questo lo garantiscono i tanti volontari vincenziani con l’azione continua e amorevole verso i bisognosi. Il loro lavoro, oltre a preoccuparsi dell’immediato, è quello di rafforzare o creare di volta in volta delle piccole reti di solidarietà, promuovendo l’inclusione sociale del soggetto fragile. Tra i nostri progetti futuri c’è, perciò, anche quello di continuare a privilegiare la formazione del volontariato vincenziano, per garantire una presenza sempre più preparata nell’affrontare in modo adeguato le sfide di oggi. Per essere una qualificata voce di chi molto spesso non ha voce.La San Vincenzo si occupa anche dei carcerati e degli ammalati. Quali sono gli interventi urgenti per loro?In primo luogo è necessario dare dignità a questi nostri fratelli. Per far ciò occorre adeguare le strutture di tutta Italia a uno standard minimo. Sia il carcerato sia l’ammalato hanno diritto a vivere e ad essere curati in ambienti che aiutino la psiche umana a superare il disagio. Abbiamo nel nostro Paese delle professionalità eccellenti, ma la carenza più grande è la mancanza di una cultura dell’umanizzazione dei servizi socio-sanitari e ai carcerati. Oggi sono molte le realtà di volontariato che vi operano, ma lo fanno ognuna per proprio conto senza confrontarsi, senza cercare collaborazioni né tra loro né con le istituzioni. E questo, spesso, rende quasi inefficaci gli sforzi.
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