venerdì 1 aprile 2016
I giudici minorili vanno ben oltre l’esigenza di tutelare la continuità degli affetti per il bambino: c’è la piena legittimazione di una pratica vietata dalla legge italiana.
Rizzo: utero in affitto, «da comunista dico no»
COMMENTA E CONDIVIDI
Non c’è solo il problema di garantire la continuità affettiva. Leggendo le motivazioni della discussa sentenza del Tribunale dei minori di Roma - che per la prima volta autorizza in via definitiva la stepchild adoption a una coppia gay di un bambino fatto nascere da uno dei partner ricorrendo all’utero in affitto in Canada c’è, passo per passo, la piena giustificazione di un comportamento vietato dalla legge italiana. In piena sintonia, d’altronde, con le affermazioni dell’ex presidente del Tribunale dei minori di Roma, Melita Cavallo, che presiedeva il collegio il 31 dicembre scorso, giorno in cui la sentenza fu emessa, ultimo suo giorno di servizio. La quale, una volta in pensione, non ha mancato di dire con chiarezza come la pensa, sul tema: «Se posso donare un rene a un’amica o a una sorella che grazie a questo sopravviverà, dov’è lo scandalo di far nascere un bambino grazie all’utero di un’altra donna? », si è chiesto il giudice Cavallo, a sentenza già emessa, in un’intervista a Repubblica, spiegando che però il ragionamento vale «solo se è un dono». La legge italiana in vigore, tuttavia, non fa questa distinzione, vieta la pratica e basta, e in ogni caso agli atti non constano casi di donne ricche che vengono in aiuto di coppie povere, gay o etero. Mentre le cronache abbondano, semmai, di situazioni all’inverso. Il caso torna alla ribalta perché il gruppo Idea di Gaetano Quagliariello oggi al Senato presenterà delle «iniziative civili e penali» contro la sentenza. Una ventina le firme, anche di parlamentari di altri gruppi di opposizione. Nelle motivazioni della sentenza viene ripercorsa la lunga storia della coppia romana, per difenderne l’affidabilità, fino alla scelta «dopo sette anni di convivenza », di sposarsi in Canada, nel 2010. «E anche la scelta del Paese ove realizzare il progetto di genitorialità – notano i giudici – non è casuale». Un Paese che «maggiormente garantisce i diritti alle coppie omosessuali e soprattutto proibisce la maternità surrogata con finalità commerciali, ammettendo solo quella su base volontaria». I partner vengono descritti come «persone colte e preparate» e viene positivamente segnalata «la loro volontà autenticamente condivisa di creare una famiglia». Quanto alla scelta di diventare genitori essa viene definita «responsabile e lungimiramte ». Viene anche descritto, con enfasi, il momento della realizzazione di questo sogno (realizzato in Canada attraverso una pratica vietata dalla legge italiana che i giudici sarebbero chiamati ad attuare): «La nascita è stata accolta dalla coppia con gioia, entrambi hanno assistito al parto e, quando è venuto alla luce, il primo a prendere in braccio il bambino è stato il ricorrente». Ossia il partner che, non essendo genitore naturale, aveva chiesto la stepchild. Ed è stato proprio lui, immagine simbolica, «a procedere al taglio del cordone ombelicale». Il problema della continuità degli affetti nasce dopo, con la convivenza del bimbo con i partner in Italia, con il positivo inserimento nella scuola d’infanzia. Ma la sentenza si è spinta oltre. A comprendere, e di fatto legittimare, il comportamento precedente vietato dalla legge. Nel tentativo, persino ostentato, di creare il precedente.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: