sabato 13 febbraio 2016
L’allarme della Corte d’Appello di Reggio: censurare i modelli educativi deteriori mafiosi, i più piccoli non paghino le colpe dei padri Intanto il territorio si riorganizza e prova a reagire con alleanze sociali.
Come salvare gli "eredi" under 14 dei capi clan
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La criminalità minorile cresce a Reggio Calabria e provincia, ma aumentano pure le iniziative che offrono una possibilità di cambiamento ai piccoli nati e inseriti in famiglie di malavita. Storie di ’ndrangheta e ragazzini, cristallizzate nella relazione sull’amministrazione della giustizia nel distretto della Corte d’appello di Reggio Calabria stilata dal presidente facente funzioni Fiorenza Freni. In essa si fotografa la presenza di organizzazioni criminali su base parentale che tirano dentro minorenni, magari non imputabili poiché under 14. Da quattro anni il Tribunale dei minori firma provvedimenti che incidono sulla responsabilità parentale a tutela dei piccoli. «All’origine di tale orientamento – ha sottolineato Freni – è il dato giudiziario che gli uffici giudiziari minorili si sono trovati negli ultimi anni a giudicare figli o fratelli di minorenni processati negli anni ’90 e nei primi del Duemila, tutti appartenenti alle purtroppo consolidate ’ndrine del territorio. L’esperienza ha evidenziato che bisogna censurare i modelli educativi deteriori mafiosi, nei casi in cui sia messo a repentaglio il corretto sviluppo psico-fisico dei figli minori, nello stes- so modo con cui si interviene nei confronti di genitori violenti, con problemi di alcolismo o tossicodipendenza».  Due giorni dopo la relazione del presidente Freni è stato presentato il progetto 'Le regole del gioco', nato da un accordo tra il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, la Comunità ministeriale per minori e il Centro Sportivo Italiano (Csi). Segue il protocollo d’intesa siglato dal Dipartimento giustizia minorile e dal Csi per promuovere la partecipazione di minori e giovani della Comunità ministeriale alle iniziative sportive, di animazione e culturali realizzate dal Csi. I ragazzi della Comunità ministeriale di Reggio saranno inseriti nel torneo annuale di calcio tra associazioni giovanili e gruppi parrocchiali e in altre iniziative sportive non agonistiche curate dal Csi. I più motivati potranno partecipare ai corsi per arbitri. Il coinvolgimento dei ragazzi della Comunità ministeriale nelle attività dell’Oratorio Cup non è solo calcio. È la testimonianza di come, camminando accanto, si possa sviluppare un percorso di legalità e condivisione, integrazione e inclusione sociale. Nella parrocchia Santa Maria del Lume, assieme all’associazione 'Diego Suraci', i ragazzi disputeranno le gare dell’Oratorio Cup. Da tempo la Procura dei minori reggina lavora perché i figli non paghino le colpe dei padri. Né delle madri. Assieme al Tribunale dei minori dà seguito al protocollo d’intesa siglato nel 2012 con gli altri uffici giudiziari del distretto per avere una strategia e quindi una linea d’intervento comune quando ci si trova dinanzi a ragazzi o bambini provenienti da ambienti criminali o imputati in processi per reati commessi in concorso con adulti. Oppure, ancora, vittime di abusi sessuali e d’altro genere. L’iter è un terreno minato, sul quale tanto il procuratore dei minori Carlo Macrì quanto il suo aggiunto Francesca Stilla si muovono con estrema attenzione. «Non si tratta di beni da sequestrare o confiscare», sottolineano. Il protocollo in Calabria è più importante che altrove perché i clan locali hanno un carattere anzitutto familistico: amicizie e odii, alleanze e vendette si tramandano di padre in figlio, da nonno a nipote. L’accordo non dimentica i figli di collaboratori di giustizia, anch’essi assistiti affinché non diventino merce di scambio o peggio ancora di ricatto e intimidazione. I provvedimenti sono di vario genere: dal più blando, con l’affidamento ai servizi sociali che lo controllano a distanza, al più drastico come l’allontanamento dalla famiglia con l’inserimento in una comunità, fuori regione per evitare condizionamenti. Sono state decine i casi affrontati dal tribunale dei minori, e per non pochi le risposte sono state ottime. Comunque si tratta di provvedimenti temporanei, che perdono efficacia al compimento dei 18 anni, quando i ragazzi tornano nelle famiglie d’origine anche se, spesso, i problemi non sono stati risolti.
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