martedì 6 settembre 2016
​Rischio disastro, tracce di arsenico e idrocarburi a pochi metri dalla spiaggia di San Ferdinando (Reggio Calabria), nella fase terminale del canale di scolo del porto di Gioia Tauro. Lo scandalo grazie alla protesta dei giovani del comitato "7 agosto", che ha avuto la meglio sulle resistenze della popolazione.
Calabria, discarica tossica in riva al mare
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In spiaggia, al mare, con i rifiuti ecotossici. Succede nel Mediterraneo, a San Ferdinando (Reggio Calabria), dove a pochi metri dalla battigia - scavando fino a due metri di profondità - si rinvengono tracce di arsenico e idrocarburi a catena lunga. Un vero e proprio disastro ambientale, minimizzato e sottaciuto dalle istituzioni preposte, esploso - per la sua pericolosità sociale - grazie alla forza di volontà dei ragazzi del comitato “7 Agosto”, che durante una rovente estate hanno deciso di piantonare, notte e giorno, il sito infetto. Tutto trae origine dal canale di scolo del Porto di Gioia Tauro, un impianto che si sviluppa per una lunghezza piana di quattro chilometri. Già da diversi anni associazioni e cittadini hanno segnalato lo stato di degrado e incuria dello stesso. Ma il problema - si è appurato da indagini chimiche - non è alla fonte: infatti, dai carotaggi effettuati, a metà luglio, a circa cento metri dalla foce del canalone non ci sono segni delle stesse sostanze rivenute a valle. Ma allora da dove arrivano questi residui che stanno avvelenando il territorio? C’è chi, come l’assessore all’ambiente della Regione Calabria, Antonella Rizzo, sostiene che la fase terminale del canale «dei veleni» sia diventato una vera e propria discarica tossica a cielo aperto dove - a fasi alterne - vengono sversati i rifiuti ecotossici. Un quadro gravissimo, un fatto di ecomafie, aggravato da una recente attività investigativa dei Carabinieri che ascriverebbe, però, al Porto di Gioia Tauro la provenienza di tale scorie. Poche settimane fa, tra l’altro, è stata sequestrata la Coopmar, azienda operante nell’interporto.  I militari dell’Arma rinvenivano «all’interno di un capannone adibito ad officina e nel piazzale circostante, numerosi rifiuti speciali sia pericolosi che non pericolosi per cui non veniva fornita alcuna documentazione amministrativa comprovante la gestione/smaltimento degli stessi». Dalla data di questo evento, l’Autorità Portuale di Gioia Tauro, rinsavita dopo un lunghissimo silenzio istituzionale, si è presa carico dell’onere della messa in sicurezza del sito, attività sinora, però, nemmeno iniziata. Siamo in estate: la cittadinanza di San Ferdinando ha assistito ad una serie di innumerevoli e poco proficui tavoli tecnici ed interventi tampone sull’allarme ecologico. Come quelli dell’Ecosistem, azienda di Lamezia Terme, di recente sotto accusa per la gestione delle ecoballe campane. Cure palliative e rinvio di decisioni per un canale avvelenato che sembra essere una terra di nessuno. Eppure c’è un atto ufficiale, datato 16 luglio 2002, che mette - nero su bianco - le responsabilità della gestione ordinaria e straordinaria dell’impianto. I contraenti di tale accordo sono, come concedente il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Reggio Calabria e come società concessionaria, Iniziative ambientali meridionali (I.a.m.) Spa. Un accordo tutt’ora in vigore, con decorrenza al 2020. La Iam, al pari della Ecosistem, è una delle società calabresi coinvolte nell’inchiesta Tempa Rossa che portò alle dimissioni l’allora ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi. La cittadina della Piana, il cui comune è commissariato in seguito allo scioglimento per infiltrazione mafiosa, si è trovata al centro del classico rimpallo di responsabilità sulla vicenda. Poco hanno fatto i commissari, guidati dal Viceprefetto, Immacolata Fedele, alle prese con un’insolita ricostruzione documentale sulla gestione del canalone; i cittadini - esasperati hanno improvvisato una vera e propria rivolta delle “carriole”, insabbiando il canale come successo in Liguria pochi mesi fa con l’auspicio di un conseguente intervento dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Un fatto circoscritto volontariamente a tema locale, eppure pochi giorni orsono il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti è stato in Calabria per varare un imponente piano di interventi sul territorio regionale. Perché non ha fatto alcuna menzione del disastro del canale dei veleni di San Ferdinando? Perché nessuno lo ha “informato”? Una storia di ecomafie e politica, da Tempa Rossa all’attuale consiglio regionale della Calabria.
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