venerdì 8 aprile 2016
Adozioni internazionali, dietro la paralisi l'apertura alla stepchild?
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Comunque si risolva il caso Congo – noi speriamo presto e bene per i bambini e per le loro famiglie – è sempre più evidente che il pianeta adozioni ha la necessità impellente di un riassetto globale. Ma la riforma, che si vorrebbe radicale, articolata e innovativa come doveroso per una nuova legge quadro, si scontra con due ordini di problemi, apparentemente inconciliabili. Il primo riguarda la contraddizione tra l’urgenza di intervenire in tempi brevi, perché esistono non solo in Congo ma anche sul fronte interno, numerose situazioni di sofferenza che vanno risolte al più presto, e la necessità di intervenire con oculatezza e misura, perché quando si legifera sui rapporti familiari, tra genitori e figli, cioè si interviene su quel delicato equilibrio tra amore e responsabilità, il rischio di normative fuori misura è sempre in agguato. Ma, parlando di adozioni nazionali e internazionali, di Commissione governativa e di affido, si può pensare di agire senza valutare attentamente tutti i possibili collegamenti? Senza considerare che ogni decisione finirà per riverberarsi sulla complessità del pianeta infanzia in cui ci sono comunque altri attori determinanti. Si può ignorare per esempio il rapporto tra il sistema adozioni e i tribunali per i minori? Oppure il ruolo del garante per l’infanzia? Difficile davvero pensare di intervenire in tempi rapidi su una materia così vasta e delicata. IL PASTICCIO DELLE ADOZIONI IN CONGO:7 DOMANDE AL GOVERNO Questioni aperte, e spesso drammatiche, mentre in Commissione giustizia al Senato, continuano le audizioni delle realtà associative interessate e arrivano gli echi di idee contrapposte che dovrebbero caratterizzare l’impianto della nuova legge.  Da una parte c’è chi suggerisce interventi soft, sia perché la legge 184 del 1983 ha già avuto due pesanti modifiche, la prima nel 2001 e l’altra pochi mesi fa. Sia perché tutta questa urgenza di avviare nuove adozioni, facilitandone le procedure, sembra in palese contraddizione con statistiche e tendenze culturali. In Italia tutti questi bambini da adottare non ci sono (i dati parlano di circa mille adozioni l’anno). E quelli che vivono fuori dalle famiglie d’origine (circa 30mila) non sono comunque in stato d’abbandono. Per quanto riguarda l’adozione internazionale poi non si può dimenticare che il numero di bambini arrivati in Italia si è dimezzato negli ultimi cinque anni. Colpa della crisi economica? Di diverse difficoltà sul piano internazionale? Dell’inadeguatezza della nostra Commissione governativa che in tre anni si è riunita una sola volta e con le sue 'non scelte' ha complicato non poco l’attività degli enti autorizzati? Forse le ragioni sono tutte queste insieme e altre ancora. Qualcuno ritiene che la paralisi della Cai sia strategica e che l’obiettivo sia quello di azzerare tutto il nostro sistema adozioni – considerato un modello vincente fino a pochi anni fa – per arrivare a un’unica agenzia statale, come in Francia. In questo modo gli enti autorizzati non avrebbero più ragione di esistere e tutto verrebbe gestito a livello centrale. Ma avrebbe senso rinunciare a una peculiarità tutta italiana, a un impianto che rimane comunque un positivo esempio di cooperazione pubblico-privato in cui da decenni lavorano persone di cuore e di esperienza?  Riformare il sistema è probabilmente necessario, perché 62 enti autorizzati sono troppi – ne abbiamo il doppio degli Stati Uniti – ma pensare di poter rinunciare a questa ricchezza di competenze sembra un salto nel buio che non possiamo permetterci. Se ci sono state irregolarità, come la presidente della Cai ha apertamente lasciato intendere, si perseguano i presunti colpevoli. Ma ci risulta che le poche verifiche avviate in questi due anni si siano concluse con un nulla di fatto. E allora a chi serve gridare al lupo al lupo? A meno che l’ansia di rivoluzionare il sistema dalle fondamenta non nasconda obiettivi ideologici più complessi, preannunciati dai ripetuti interventi della magistratura di queste settimane. L’apertura a varie 'stepchild' incrociate, ora frutto di interpretazioni estensive della legge vigente, finirà per rappresentare il vero obiettivo della nuova norma? Non vorremmo davvero credere che qualcuno faccia proprio lo slogan, del tutto falso, 'più adozioni per tutti' e che per modellare una norma sui desideri e sulle pretese degli adulti – di alcuni, pochissimi adulti – si siano sacrificati per mesi i diritti e le speranze dei più sfortunati dei bambini e dei loro aspiranti genitori. 
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