giovedì 3 settembre 2015
IL CASO. Il Comune di Milano: «Case grandi non ce n'è e una legge regionale impedisce di darne una più piccola».
Decoro lombardo: una storia di poveri e di regole stupide di Marco Tarquinio
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«Ma prego, si accomodi...», sorride Roberta, invitandoci a sedere come farebbe nel suo salotto buono. In realtà il divano è una panchina pubblica e il salotto è il parco di piazza Aspromonte, dove praticamente vive con i suoi cinque bambini. Dal 2012 è in attesa della casa popolare che le spetta, ma per un paradosso che neppure Kafka avrebbe saputo partorire non gliela possono dare: per una famiglia così numerosa, dice la legge regionale, non è lecito assegnare un alloggio sotto i 90 metri quadri, e siccome da 90 metri quadri non ce ne sono, la famiglia resta per strada. «Abbiamo detto mille volte che noi ci stringiamo, che non ci serve un castello ma un tetto. Ci rispondono che la legge parla chiaro. Ma invece è legge vivere in un parco?». Ogni sera Roberta U., 39 anni, milanese, insieme ai suoi figli trova asilo per la notte nella casa dei suoi genitori – anche questa un alloggio popolare del Comune di Milano – e in otto si accalcano in due stanze con bagnetto e cucinino. «Ma alle 7 del mattino siamo già qui ai giardini, con qualsiasi tempo, perché resistere in tanti là dentro sarebbe impossibile, come ha constatato il funzionario dell’Aler quando è venuto a verificare la situazione e si è messo le mani tra i capelli ». Francesco e Maurizio, i gemellini nati due anni e mezzo fa, saltano giù dal passeggino monoposto su cui viaggiano seduti uno in braccio all’altro e corrono alle altalene, mentre Desiré, 4 anni, sfodera sorrisi a Salvatore, il fratello di 12 anni da cui non si stacca mai, e Luigi, 16 anni, studente alla scuola per idraulici, chiacchiera con la sua ragazza su un’altra panchina del parco. Qui ormai li conoscono tutti, è davvero 'casa loro', e l’unico che manca all’appello è il papà, Raffaele S., 49 anni, operaio assunto regolarmente, impegnato a portare il pane a casa. Solo che lui, per non gravare sulla famiglia, la notte a dormire va da sua sorella fuori Milano e i figli non li vede quasi più. bellaspigafa_1.jpg«È per questo che, estenuati, abbiamo deciso di prendere in affitto a nostre spese un piccolo appartamento in attesa che le istituzioni si muovano», spiega la moglie. «Ne abbiamo trovato uno a 800 euro al mese in zona Ortica, con un divano letto al piano di sotto per noi due e sopra una stanza per tutti e cinque i figli. Ma come pagheremmo? Mio marito se si ammazza di straordinari può arrivare a 1.700 euro al mese, ne resterebbero 900 per vivere in sette, pagare le bollette, comprare cibo e vestiti, e i libri di scuola per il grande... Già una volta siamo stati sfrattati per morosità». Era il 2012. L’ufficiale giudiziario che eseguiva lo sfratto consegnò loro il modulo per chiedere un alloggio alla Aler (l’Azienda regionale per l’edilizia popo-lare), domanda finalmente recepita un anno fa. Se non che poco dopo, dal primo dicembre del 2014, la gestione delle case popolari milanesi passava dall’Aler a MM/Casa, ovvero dalla Regione al Comune stesso. «E noi siamo tornati al punto di partenza, per sentirci dire adesso che le case ci sarebbero, ma non abbastanza spaziose, quindi ci lasciano in strada».  «Sono i primi nella lista d’attesa», ci confermano negli uffici di Daniela Benelli, assessore comunale alla Casa, dove la famiglia S. è ben nota se non altro per le ripetute telefonate di Roberta. «La loro situazione ci sta a cuore, ci sono cinque minori sulla strada. Faremo tutto il possibile per risolverla». Con la burocrazia non si ragiona, si sa, quindi immaginare di accoglierli temporaneamente in un alloggio un poco più piccolo è davvero improponibile? «Il problema è la legge regionale, che non ammette di attribuire a sette persone una casa sotto un certo metraggio. Per mia esperienza case sopra i 90 metri il Comune non le ha proprio – ci spiega il funzionario –, è più facile che le abbia l’Aler, e infatti l’abbiamo sollecitata, ma il caso è complicato, il problema è chiaramente economico».  Per chi la vede da un’altra prospettiva il problema è garantire a quei cinque bambini il diritto inalienabile a crescere sani e vivere sereni. «Ogni mese insieme alla parrocchia diamo loro il pacco viveri e i buoni prepagati per la spesa al supermercato», fa sapere Gianpiero Broleri, volontario alla San Vincenzo de’ Paoli, «e per 89 notti abbiamo pagato un alberghetto di via Porpora affinché anche il papà potesse stare con loro». Poi rincara il paradosso: «Proprio il fatto che il padre abbia un reddito impedisce che almeno la mamma con i piccoli siano accolti temporaneamente in comunità. I piccoli risentono di questa situazione, al punto che la scuola ha segnalato Salvatore ai servizi sociali come bambino iperattivo, anche se da un anno ha almeno l’insegnante di sostegno ed è migliorato...». IMG_0119.jpgSulla panchina la piccola Desiré non gli si stacca di dosso, lo bacia e gli sorride con la luce negli occhi. È il suo modo di esprimersi: ha quattro anni ma non ha mai parlato. «Nessuna patologia», dicono i dottori, «è un blocco psicologico». Tuttora non c’è chi lo sappia sciogliere. Cala la sera su piazza Aspromonte e la famigliola lascia il salotto buono. Domattina alle 7, pioggia o sole che sia, saranno tutti qui. E per l’inverno? Che succederà se nulla sarà cambiato? «Grazie a Dio saranno alla materna e a scuola, lì staranno tutti al caldo».

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