martedì 15 dicembre 2015
Dieci anni fa una bimba di Mantova è nata con la sindrome di Down e oggi il ginecologo di sua mamma è stato condannato dalla Cassazione. Dovrà risarcire la madre e il padre, che comunque decisero di non riconoscerla.
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Dieci anni fa una bimba di Mantova è nata con la sindrome di Down e oggi il ginecologo di sua mamma è stato condannato dalla Cassazione. Dovrà risarcire la madre e il padre, che comunque decisero di non riconoscerla. Una sentenza choc non solo perché nei primi due gradi di giudizio il medico era stato assolto. Non solo perché intanto la bambina, che speriamo cresca amata in una famiglia adottiva, ha ormai dieci anni. Ma perché il ginecologo, si legge nella sentenza, non è stato condannato per una colpa medica (non ha sbagliato una diagnosi o letto male i risultati di un esame, insomma), ma non avrebbe impostato un giusto rapporto con la sua paziente. In pratica, poiché la donna (una cittadina della Repubblica Ceca, appena ventenne) aveva da subito fatto sapere che voleva un figlio sano e che, in qualsiasi altro caso, lo avrebbe abortito, il medico avrebbe avuto il dovere di prospettarle tutti gli esami prenatali utili a rilevare eventuali malformazioni del feto. Non ha sbagliato nel suo operato, (il bi-test era positivo, ma data la giovanissima età non ha consigliato un’amniocentesi, e questo è normale), ma nel non informarla al 100%. Da oggi i medici per tutelarsi proporranno a ogni donna incinta tutte le analisi prenatali esistenti atte a rilevare ogni possibile difetto?

 

«Su noi, persone disabili, c’è una grande sensibilità formale. Nella sostanza, invece, la società sta regredendo a grandi passi e questa sentenza ne è la prova». A parlare non è la bambina con sindrome di Down di cui sopra, abbandonata dai genitori alla diagnosi e 'corpo del reato' per il ginecologo di sua madre. È però un’altra persona come lei, cioè 'non perfetta' secondo la mentalità che sottende alla sentenza di Cassazione: Germana Lancia, 53 anni, romana, è nata affetta da una grave e progressiva patologia altamente invalidante. Una di quelle che le analisi prenatali magari scoprirebbero 'in tempo' per interrompere la gravidanza. Una delle centomila possibili malattie dalle quali – si pretende oggi – i medici dovrebbero garantirci... 

«Sulla scia di questa assurda sentenza – commenta Germana, responsabile allo sportello disabili dell’università La Sapienza – da oggi dovrebbero essere condannati tutti i medici, a prescindere dal loro operato. Anche di fronte a un lieve malore, dovrebbero far firmare un’informativa che riporti tutte le patologie possibili e pure un avvertimento: 'possibile anche la morte'. Purtroppo la decisione dei giudici si adatta a una società che considera lecito eliminare un bambino perché non sano e 'non perfetto'. Avanti così e arriveremo a considerare eliminabili tutte le persone disabili e coloro che hanno una malattia cronica». 

Un malinteso senso di vita 'degna', in effetti, già oggi spaccia per filantropici eutanasia e aborto (chissà perché chiamato terapeutico, come se curasse anziché uccidere). «Ma la vera dignità la mostriamo noi – si ribella Germana – giorno per giorno, convivendo con difficoltà che per altri sarebbero inimmaginabili e ringraziando per quel pochissimo che la società ci offre. Sono una persona che dipende dagli altri, mi sposto in carrozzina elettrica, faccio dialisi tutti i giorni, ma nei miei e nostri confronti la condanna è già emessa: dalle barriere culturali e architettoniche che, in spregio alle leggi vigenti, ci rendono davvero disabili». Germana, che in passato aveva scritto al presidente Ciampi per chiedergli l’eutanasia, e anni dopo gli aveva scritto per ringraziarlo di non avergliela concessa, è una che non molla, che vive una vita piena di limiti eppure gratificante nella sfera affettiva e professionale, «e la forza mi arriva dalla mia instancabile fede – spiega –, ho sempre pensato che chi ha problemi occupa un posto speciale nell’immenso cuore di Dio... ma è ovvio che anche una persona atea può avere la mia stessa forza e anche di più». Fatica a pensare che la bambina nata con la sindrome di Down in dieci anni non sia riuscita a fare breccia nel-l’affetto dei suoi genitori («un bimbo quando è preso tra le braccia è sempre un esserino indifeso da amare »). Non fatica invece a credere che preventivamente «si sarebbero volentieri liberati di questo piccolo dono con gli occhi a mandorla, perché sulle persone disabili vige una grande ipocrisia: si celebrano tante giornate mondiali, ma poi sono 'vite indegne'... Se potessi parlare con una madre che scopre di avere in grembo una creatura disabile, vorrei dirle di non preoccuparsi, che la società le starà accanto nel suo difficile percorso, che mai nessuno discriminerà la sua bambina... Vorrei, ma so che la realtà non è questa. Come ben dimostrano i giudici di questa sentenza e i genitori di questa povera bambina scartata».

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