martedì 21 ottobre 2014
​L'ex ministro: costruire un futuro di convivenza conviene a tutti.
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Sulla cittadinanza ai figli degli immigrati «Renzi mostra coraggio e lungimiranza». Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, da ministro per l’Integrazione nel governo Monti lanciò la proposta dello ius culturae. Ossia quella di concedere la cittadinanza ai figli dei lavoratori stranieri in Italia che avessero terminato un ciclo di studi. Un’idea che assomiglia molto a quanto delineato di recente dal presidente del Consiglio. «Quello che mi interessa – spiega Riccardi – non è di rivendicare primogeniture, ma di prendere atto che i tempi sono finalmente maturi per compiere una reale inversione di tendenza, culturale oltre che politica, nella gestione dell’immigrazione». Che cos’è che non andava finora? Sul tema dell’immigrazione si è giocata una brutta partita politica ed elettoralistica che non ha mai guardato veramente in faccia al problema. Abbiamo ridotto un fenomeno globale, complesso e inarrestabile alla sola emergenza sbarchi. L’immigrazione è stata vissuta come un’invasione, invece di coglierne, insieme ai drammi e ai problemi, anche le potenzialità positive. E non si sono fatte vere politiche di integrazione. Invece, una società aperta e coesa, nella quale tutti si sentano 'italiani' al di là delle provenienze, fa parte dell’interesse nazionale. Non si tratta di fare 'buonismo' nei confronti degli immigrati: costruire percorsi di integrazione significa porre le basi per la convivenza, per un futuro migliore. L’integrazione è una questione che interessa tutti: vecchi e nuovi italiani. E perché cominciare proprio dai ragazzi? I ragazzi sono i più sensibili ai temi dell’integrazione. Basta uscire dal Palazzo e andare in una scuola per capire come stanno le cose. Ci sono ragazze e ragazzi, figli di stranieri, che parlano e sognano in italiano, che pensano all’Italia come alla loro casa, presente e futura. Sono amici dei nostri figli e i nostri figli non li percepiscono come 'diversi'. Ma per troppi anni la politica ha negato loro, per meschini interessi elettoralistici, il sogno di essere e di sentirsi italiani, come tutti gli altri. E mi lasci dire che anche tra i cattolici questa battaglia, che è insieme di civiltà e di lungimiranza, è stata spesso combattuta in modo troppo tiepido. Lei provò a far approvare una legge sulla cittadinanza, ma senza successo. Perché? Il governo Monti, a cui, credo, vada ascritto il merito di aver invertito la rotta sui temi dell’integrazione, si reggeva sul consenso di tre partiti. Fu lo stesso Monti a dirmi che l’argomento cittadinanza ai bambini era tabù per uno dei tre partiti, quello all’epoca guidato da Berlusconi e Alfano. E che insistere su questo tema avrebbe significato mettere in crisi il governo tecnico. Come ministro dell’Integrazione mi accorsi subito di muovermi su un terreno minato. Come quando riuscii, tra le polemiche di quella stessa parte politica, a far emergere dal nero 130 mila lavoratori stranieri. Anche quella volta si parlò, totalmente a sproposito, di un favore fatto agli immigrati. Poi ci si accorse che il provvedimento veniva in realtà incontro a tante famiglie italiane, che davano lavoro a colf e badanti in nero, e che senza questa emersione avrebbero rischiato enormi sanzioni, pecuniarie e penali. C’è chi dice: con la cittadinanza ai bambini, migliaia di straniere verranno a partorire in Italia. È una sciocchezza. Lo ius soli temperato non si applica meccanicamente a tutti i bimbi partoriti in Italia, che è un Paese di passaggio, ma ai figli dei lavoratori stranieri stabiliti da tempo in Italia e che intendono far fare ai loro figli un percorso formativo, che comprende lo studio della lingua, l’accettazione dei nostri principi e il rispetto delle leggi. Per il resto è il solito gioco: si confonde strumentalmente l’immigrazione economica, di chi cerca in Italia il proprio futuro (che in verità sono sempre meno, data la crisi), con la povera gente che è costretta a fuggire dalle proprie case per via delle guerre e delle persecuzioni. Ci rendiamo o no conto che l’Italia, per la sua posizione geografica, è la retrovia di un campo di battaglia? Immigrati e rifugiati sono due questioni che vanno tenute separate e per le quali servono ottiche e politiche diverse.
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