venerdì 21 agosto 2015

​"Ora aiutiamo la famiglia". Anche un imprenditore indagato. E la procura di Matera apre un fascicolo sull'uomo in coma.
Santoro: regole e cambio di mentalità

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Si allarga l’inchiesta sulla morte di Paola Clemente, la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico ( Taranto) che ha perso la vita il 13 luglio scorso mentre lavorava tra i vigneti ad Andria. C’è un secondo indagato dopo l’autista Ciro Grassi, che ha trasportato la donna e gli altri braccianti nelle campagne del nord barese. Gli inquirenti stanno vagliando la posizione del titolare dell’azienda agricola 'Perrone' di Andria in cui lavorava Clemente. L’accusa è omicidio colposo e omissione di soccorso. Tutto è partito dalla denuncia alla Procura di Trani del marito di Paola, Stefano Arcuri, che ha avuto il coraggio di squarciare il muro del silenzio. Dopo la riesumazione del corpo disposta dal pm Alessandro Pesce oggi verrà effettuata l’autopsia che contribuirà a chiarire le cause del decesso. San Giorgio Jonico è ancora sotto choc: dolore e incredulità ma anche affetto e solidarietà per una donna conosciuta e apprezzata da tutti per il suo amore verso la famiglia, per la dedizione nell’affrontare il duro impegno nei poderi sotto il sole cocente o il freddo pungente. Papà, mamma e i tre figli hanno sempre frequentato la parrocchia Maria Santissima Immacolata. «Una bella famiglia, molto unita, che aveva intrapreso il suo percorso di fede – racconta il parroco don Giancarlo Ruggieri –. Paola era una persona umile, solare, dotata di grande sensibilità e di straordinaria gentilezza. Per lei lavorare nei campi era una sorta di vocazione. Le piaceva, pur se consapevole dei sacrifici e della fatica. Era benvoluta dalle gente, in particolare dalle amiche con cui condivideva la pesante attività in campagna. Siamo scossi e rattristati dalla sua morte così inattesa e repentina». Don Giancarlo ha incontrato il marito della donna, Stefano, subito dopo la disgrazia. «Nonostante il dolore e la sofferenza ho visto in lui una grande dignità.  Il suo pensiero è rivolto ai figli. Il più grande fa l’insegnante fuori ed è in attesa di sapere se verrà riconfermato nell’incarico. Poi c’è la ragazza, che in questo momento si sta facendo carico di portare avanti la casa. Il più piccolo studia. Credo che dobbiamo cercare di dare un briciolo di serenità a questi ragazzi. La vicenda di Paola è un monito per tutti. È ormai un’esigenza irrinunciabile quella di garantire i diritti dei lavoratori agricoli». Un altro cittadino di San Giorgio, il 42enne Arcangelo De Marco, dal 5 agosto  è in coma all’ospedale San Carlo di Potenza dopo essersi accasciato al suolo mentre lavorava nelle campagne di Metaponto di Bernalda (Matera). Su questo episodio, ieri, la Procura di Matera ha aperto un procedimento. L’anziano papà Mimmo, con molta discrezione, chiede che suo figlio possa essere trasferito in un centro specializzato. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, al termine di un incontro con Giuseppe Deleonardis, segretario regionale della Flai Cigil, impegnato in prima persona in questa doppia vicenda, ha assicurato che «se dovesse essere necessario la Regione aiuterà Arcangelo ad avere tutte le cure di cui ha bisogno».  Gli ultimi casi di vittime in agricoltura hanno riacceso i riflettori sull’inquietante fenomeno del caporalato che il ministro Martino non ha esitato ad accostare alla mafia. Lavoratori spesso in nero, malpagati, sfruttati e con contratti cosiddetti ombra. Sulla carta i braccianti non superano mai i cinque giorni a settimana, il che consente ai datori di evitare i controlli. Ma, le giornate e le ore trascorse nei campi sono molto di più. La paga va dai 20 ai 30 euro (27 ne prendeva Paola Clemente) di cui la metà viene data ai caporali per il trasporto. Tutto questo nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52 euro. Per Luigi Sbarra, commissario nazionale della Fai-Cisl è «arrivato il momento di avviare una grande e partecipata controffensiva nazionale al caporalato. Gli interventi repressivi vanno intensificati, ma da soli non sono sufficienti a contrastare il lavoro nero se non accompagnati da iniziative dirette a risolvere le cause che sono alla base di questa barbarie». La strada maestra, per Sbarra, «passa per la riqualificazione del lavoro rurale, anche attraverso la valorizzazione di uno strumento come la Rete del lavoro agricolo di qualità, certificazione etica voluta in maniera unitaria da Cisl, Cgil, Uil, governo nazionale e istituzioni locali». 
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