giovedì 25 febbraio 2016
la ricerca del Censis: servizi in diminuzione, il 73% dei costi a carico delle famiglie. Che sono isolate.
Alzheimer, in calo l'assistenza ai malati
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La rete di assistenza? Carente e meno utilizzata rispetto a dieci anni fa. La diagnosi? Tardiva. Le famiglie? Sempre più sole. E con l’età dei malati che aumenta, aumenta anche quella di chi li assiste: un costo sociale e sanitario che apre una voragine nelle casse dello Stato. Alzheimer, il dramma è dimenticato. Non finanziato. Perfino sottostimato, se è vero che i dati epidemiologici parlano di 600mila pazienti in Italia, mentre le associazioni storcono il naso. «A contare i casi non pensiamo noi, prendiamo questi numeri così come ci vengono offerti», spiega Patrizia Spadin, presidente dell’Associazione italiana malati di Alzheimer (Aima). Gli altri, di numeri, li ha snocciolati ieri insieme al Censis e raccontano una situazione da prendere in mano subito. A cominciare dall’assistenza: rispetto al 2006 (anno in cui è stato realizzato l’ultimo studio sul fenomeno) il ruolo dei centri pubblici dedicati – i cosiddetti Uva, le Unità di valutazione Alzheimer – si è ridimensionato. Da quasi 7 su 10 pazienti che vi si rivolgevano dieci anni fa, oggi lo fa soltanto il 56%, poco più della metà (con il Sud e le Isole che scendono al 50%): il ricorso ai centri diurni dal 24% è passato al 12%, i ricoveri dal 18% al 12%, l’assistenza domiciliare dal 18% al 12%. «Questo da un lato è riconducibile alla crisi economica degli ultimi anni, di cui le famiglie con malati di Alzheimer sono state doppiamente vittime», chiarisce Spadin.  Ma il problema vero è che la mancanza quasi totale di risorse specifiche destinate alle Regioni «rende impossibile creare un percorso assistenziale completo, capace di accompagnare le famiglie. Fatta eccezione per Emilia Romagna e Toscana – continua Spadin –, e qualche altro sporadico tentativo, la maggior parte del territorio resta scoperto di servizi». Così succede che alla Linea Verde dell’Aima, un centralino di “pronto intervento” attivo per le famiglie tutti i giorni da mattina a sera, arrivino 30 o 40 chiamate al giorno da famiglie di tutta Italia, in cui si chiede aiuto su come comportarsi in una situazione di crisi, oppure consulenze mediche, psicologiche. Non basta. Prima ancora dell’assistenza, è la diagnosi della malattia ad essere ancora tardiva: se nella metà dei casi le famiglie spiegano d’essersi rivolti immediatamente al medico alla comparsa dei primi segnali, in più di 6 casi su 10 la diagnosi dell’Alzheimer è stata fatta da un professionista diverso da quello interpellato la prima volta. E se dieci anni fa richiedeva mediamente 2,6 anni, oggi ce ne vuole 1,8: poco di meno. Oltre alla solitudine di chi a casa si occupa di un malato, c’è poi il dramma delle condizioni di salute ed economiche di quest’ultimo: se l’età media dei malati è salita dai 73 anni del 2006 ai 79 di oggi, anche l’età dei cosiddetti caregiver s’è alzata dai 54 ai 59. Con un peggioramento generale dello stile di vita: risulta triplicata la percentuale dei disoccupati (10%), ai malati vengono mediamente dedicate 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 di sorveglianza, in particolare tra le donne l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso. E sull’aiuto di una badante, che resta un punto di riferimento indiscusso in questo ambito per chi se la può permettere, conta il 38% delle famiglie: meno del 2006 (erano 4 famiglie su 10). L’impatto economico di tutto questo è impressionante. Il costo medio annuo per paziente – comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico del Servizio sanitario nazionale e della collettività – è risultato pari a 70.587 euro. Di cui il 73% afferisce a costi indiretti, tra cui spiccano gli oneri di assistenza che pesano sui caregiver lasciati soli.
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