venerdì 15 aprile 2016
Scafato (Iss): i medici non sono formati Giovani, si diffonde il "binge drinkers". L’Alcohol Prevention Day ha evidenziato che i bevitori “dannosi” sono più di 720mila, ma appena 73mila sono seguiti.
Alcol, 8 milioni a rischio: ma solo il 10% si cura
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Troppo alcol per 8 milioni di italiani di età superiore agli 11 anni, ma appena il 10% dei bevitori a rischio è intercettato e seguito dai servizi sanitari territoriali. L’allarme sul consumo eccessivo di alcolici nel nostro Paese, è stato lanciato ieri in occasione dell’Alcohol Prevention Day promosso dall’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore della sanità. Sebbene in Italia il consumo si sia ridotto negli ultimi tempi, attestandosi a 6,1 litri di alcol puro pro capite all’anno, sono ancora troppo pochi i consumatori che assumono quantità “dannose” di alcolici (oltre i 40 grammi al giorno per le donne e più di 60 grammi per gli uomini, secondo i parametri indicati dall’Oms), conosciuti e seguiti dal punto di vista sanitario. Stando alle stime dell’Osservatorio, gli italiani che bevono quantità dannose di alcol sono circa 720mila, ma nel 2014 appena 73mila alcolisti sono stati presi in carico dai 504 servizi o gruppi di lavoro per l’alcodipendenza identificati sul territorio. All’appello mancano, dunque, almeno 702mila consumatori dannosi che avrebbero necessità di trattamento e che, invece, sono completamente sconosciuti alle Asl. «Il 90% – conferma il direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Iss, Emanuele Scafato – resta sommerso, non riceve alcuna forma di trattamento in grado di arrestare la progressione del danno, di prevenire le complicanze e l’evoluzione verso forme più complesse di dipendenza». Secondo Scafato, per intervenire con efficacia andrebbe colmato il «grave debito formativo professionale» a carico dei medici, che «non sono formati dalle università» sul versante della prevenzione dell’alcolismo. «Si tratta di una grave lacuna culturale che si traduce in un danno alla salute per decine di migliaia di persone – aggiunge Scafato –. Un’indagine dell’Unione europea ha evidenziato che soltanto un medico italiano su tre fa uso nella pratica clinica del metodo Audit (Alcohol use disorder identification test), come strumento ordinario di screening. In buona sostanza – sottolinea l’esperto – anche loro sottovalutano un problema che, come vediamo, ha invece dimensioni molto preoccupanti. L’Istituto superiore di sanità è pronto a offrire e proporre alle Regioni la formazione standardizzata di valenza europea e internazionale».  A rischio, come confermano anche i dati diffusi dall’Istat, sono ancora una volta i più giovani. Il “binge drinkers”, il bere per ubriacarsi, rimane una pratica molto diffusa tra i ragazzi dagli 11 ai 25 anni d’età: in totale sono 3,3 milioni. Di questi 110mila hanno dagli 11 ai 17 anni, 250mila tra i 18 e i 20, 43mila tra i 21 e i 25 anni. «Il 17% di tutti gli intossicati da alcol che arrivano ai Pronto soccorso ha meno di 14 anni», ricorda Scafato, che rilancia la necessità di fornire a questi ragazzi «modelli adulti che siano d’esempio ». «La cultura del bere ha bisogno di essere ripensata – conclude Scafato – mettendo le persone nella condizione di compiere scelte informate, come da anni ci chiede di fare anche l’Europa».
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