mercoledì 13 gennaio 2016
Le gare Sono ferme. Grassi (#italiasicura): gli investimenti stentano a decollare. Attesa nel 2016 la sanzione Ue per i ritardi accumulati dalle Regioni
LE IMPRESE Servono 65 miliardi in 30 anni
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Dopo le regole, la politica industriale. Il 2016 sarà un anno cruciale per il 'governo' dell’acqua e l’esito della partita si misurerà soprattutto su un punto: la realizzazione di nuove infrastrutture. Un dato su tutti spiega lo stato dell’emergenza, dal punto di vista finanziario e non solo: ci sono 3,2 miliardi di euro stanziati, 2,8 miliardi dei quali soltanto per il Sud, per quasi 900 opere tra depuratori, fognature e acquedotti. Il risultato? Queste opere non sono ancora state avviate nemmeno a gara. Il caso Messina, con la città lasciata senz’acqua per giorni, ha convinto l’esecutivo, che ha fornito ieri questi dati, ad accelerare, tanto più che per l’anno in corso è attesa anche una mega-sanzione da parte della Commissione Ue, per via dei ritardi accumulati dal nostro Paese nella messa a norma dei sistemi fognari e di depurazione.  «Se da un lato nel 2016 cominceremo a pagare salate sanzioni, dall’altro gli investimenti necessari a scongiurare le stesse sanzioni stentano ancora a decollare» ha ricordato ieri Mauro Grassi, responsabile della Struttura di Palazzo Chigi #italiasicura, che si occupa dello sviluppo delle infrastrutture idriche e del dissesto idrogeologico. L’obiettivo è raggiungere livelli di investimento nel sistema idrico simili a quelli degli altri Paesi europei, passando dagli attuali 36 euro per abitante ad almeno 50 euro, per avvicinarsi poi agli 80-90 euro degli Stati europei più virtuosi. La partita dell’efficienza si gioca innanzitutto a livello territoriale e su questo versante il percorso da fare è assai complicato, basti pensare alle lacune registrate da alcune Regioni, a partire dalla Sicilia, che da sola ha bisogno di interventi pari a 600 milioni di euro. Nel frattempo, sono stati nominati commissari governativi per la realizzazione di fognature e impianti per la depu- razione, oltreché nell’isola, in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Veneto. «È facile immaginare che anche triplicando le tariffe, senza un gestore efficiente, organizzato e capace di realizzare economie di scala, gli investimenti potrebbero non crescere proporzionalmente alle disponibilità finanziarie e le risorse potrebbero essere disperse in interventi troppo frammentati» ha sottolineato Grassi.  Va detto peraltro che, negli ultimi due anni, il lavoro portato avanti dal-l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, ha garantito a circa due terzi della popolazione un incremento del 55% nella spesa complessiva per investimenti in infrastrutture idriche, passata dai 961 milioni di euro del 2012 a 1,49 miliardi del 2015. Secondo l’Authority presieduta da Guido Bortoni, sono stati attivati investimenti di oltre 5 miliardi nel periodo 2014-2017, un valore pari a quello degli impianti finora esistenti. Governo e regolatore sembrano d’accordo su un fatto: utilizzare la leva tariffaria in futuro non sarà determinante come in passato. Il primo gennaio è entrato in vigore il metodo tariffario idrico 2016/2019, il nuovo quadro di regole voluto dall’Autorità che prevede tariffe «sempre più capaci di incentivare i necessari investimenti nel settore».  La sensazione è che, mentre sul versante della messa in sicurezza del territorio (cioé le opere contro il dissesto) lo Stato dovrà intervenire direttamente (colmando anche in questo caso ritardi decennali) sul versante del 'governo' dell’acqua la responsabilizzazione dei gestori locali e delle imprese sia destinata naturalmente a crescere, ovviamente nei vincoli fissati dal referendum 2011. Al centro, cioé, dovranno esserci i costi sostenuti per garantire ai cittadini l’erogazione dell’acqua con servizi all’altezza. La remunerazione degli operatori arriverà dopo.
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