martedì 24 maggio 2016
Oggi al Consiglio d’Europa il dossier su medici, punti nascita e interruzioni. Il Ministero della Salute prova a fermare l’iter avviato con l’esposto della Cgil.
Aborti e obiettori, Italia sotto esame
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Non sarà ancora l’ultima parola, ma il passaggio al quale oggi è atteso il governo italiano è cruciale per il futuro del diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto previsto dalla legge 194. Si riunisce infatti a Strasburgo il «Gr-Soc», sigla che definisce il gruppo di esperti sulle questioni sociali e sanitarie in rappresentanza dei Paesi membri del Consiglio d’Europa (47, inclusi i 28 dell’Unione europea). Davanti a questa commissione tecnica i rappresentanti italiani sono chiamati a replicare nel merito al parere negativo espresso l’11 aprile dal Comitato europeo dei diritti sociali, organismo che all’interno dello stesso Consiglio d’Europa vigila sull’applicazione della Carta sociale europea. Il Comitato aveva accolto un reclamo della Cgil che lamentava la difficoltà in Italia di accedere ai servizi di interruzione di gravidanza a causa – questa la tesi del sindacato – dell’eccessivo numero di medici obiettori.  Di qui l’apertura di un procedimento formale che, senza costituire u- na 'condanna' come erroneamente riportato da quasi tutti i media italiani, approda oggi alla tappa tecnicamente più rilevante. Nell’audizione di Strasburgo il governo – come ha anticipato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nell’informativa alla Camera del 4 maggio – illustrerà in modo dettagliato i dati reali sull’aborto, l’obiezione, i carichi di lavoro per i medici non obiettori, la diffusione dei punti nascita e di quelli per l’interruzione di gravidanza, con la possibilità finalmente di fare chiarezza rispetto alle tesi della Cgil avverse alla libera scelta dei ginecologi e del personale sanitario. Solo dopo questo chiarimento il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa – organismo politico, per quanto non elettivo – potrà pronunciarsi con una risoluzione indirizzata all’Italia decidendo se eventualmente chiedere al nostro Paese che provveda a organizzare la pratica dell’aborto in modo più efficiente. Ma è chiaro che un’eventuale bocciatura avrebbe un peso culturale e politico non trascurabile.  La complessa procedura attivata dagli uffici del Consiglio arriva due anni dopo un iter praticamente identico che prese avvio dal reclamo dell’«International Planned Parenthood Federation» (Ippf), combattiva ong attiva in tutto il mondo come lobby pro-aborto, e che si concluse con un’archiviazione di fronte ai dati illustrati dal nostro Ministero della Salute. Il nuovo procedimento mostra che sull’obiezione di coscienza si sta concentrando il pressing delle istituzioni europee, all’interno delle quali agiscono gruppi che vogliono condurre all’affermazione dell’aborto come indiscutibile diritto non assoggettabile ad alcuna restrizione.  Ma in Italia è davvero un problema abortire? Anzitutto appare paradossale che ci si debba occupare di facilitare gli aborti in un Paese che, semmai, sta facendo i conti con una denatalità a livelli ormai drammatici: le nascite scese sotto la soglia del mezzo milione (con gli aborti sotto quota 100mila), dovrebbero indicare con sufficiente chiarezza quale sia la priorità in questo momento. Ma invece di essere chiamato dalle istituzioni europee a illustrare con quali politiche pensa di far fronte all’era glaciale demografica, il governo viene convocato a Strasburgo per dare spiegazioni su quanto facilmente si può abortire. Le cifre, peraltro, non lasciano dubbi: 30% di medici che praticano aborti e 2,8 strutture in cui si praticano aborti ogni 100mila donne in età fertile contro 3,8 punti nascita. Per capirci: mentre il rapporto tra nascite e aborti è di 4,9 a 1, quello tra punti-nascita e punti-aborto è di 1,3 a 1, con gli aborti più che dimezzati rispetto ai 234mila del 1982. A fronteggiare questo numero enorme di interruzioni di gravidanza dovevano provvedere 1.607 medici non obiettori, oggi diventati 1.490 ma per 100mila aborti, con un carico di lavoro decisamente più lieve. I dati parlano chiaro. Il Consiglio d’Europa saprà ascoltarli?
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