mercoledì 5 ottobre 2016
«Il mio ultimo desiderio». Lotta con la burocrazia per arrivare in Germania.
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A 84 anni sul barcone per rivedere il figlio
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Per quella donna no. Nessuno era davvero pronto a un’anziana madre venuta dalla parte sbagliata del mare. Da anni accolgono volti di ogni provenienza,  ascoltano ogni genere di richiesta, raccolgono storie di drammi e di sogni. Gli operatori del centro di accoglienza conoscono a memoria le istanze dei migranti. Oramai, possono presagirle prima ancora che vengano proferite: un visto, il riconoscimento dello status di rifugiato, un lavoro, il via libera per cercare fortuna più a Nord.  Le speranze dei profughi che saltano su un barcone hanno fattezze di ragazzi, spesso di bambini, di uomini e donne in età da lavoro. A questo siamo abituati. Ma non a lei. A quello che avrebbe detto, al nodo in gola che avrebbe provocato. «Vengo dal Sudan. Ho compiuto 84 anni. Sono quasi sorda e cieca. Voglio solo rivedere coi miei occhi mio figlio, almeno un’ultima volta». Da sola, nessun parente al seguito. Acciaccata da una vita di esilio. La nonna del deserto era sbarcata con decine di altri. Per settimane e mesi in balia dei trafficanti. Con un solo, semplice e ultimo desiderio. Prima che sia troppo tardi. Da giorni gli operatori di Auxilium, la cooperativa sociale a cui è affidato il Cara romano di Castelnuovo di Porto, ne hanno fatto una battaglia burocratica perché «questa bellissima donna di 84 anni possa realizzare il suo sogno più grande». Ma la burocrazia ha i suoi tempi. Che ne sanno le carte bollate del cuore di una madre. Bisogna seguire l’iter. Mettersi in coda. Attendere. Ma a Ghebru Mebrat quello che manca è proprio il tempo. Eritrea, cristiana, per vent’anni esule in Sudan. Meglio la dittatura dell’iracondo Bashir che la guerra e i rastrellamenti nel suo paese. Senza alcun futuro davanti, tre anni fa il figlio si unì a una carovana diretta verso l’Europa. Ora è in Germania, ma non può tornare in Sudan. Angelo Chiorazzo, presidente di Auxilium, riferisce di come l’anziana sia partita da sola, affrontando un’odissea che fa tremare di paura gli uomini più forti. «Su un camion ha attraversato il deserto ed è arrivata in Libia. Dopo molti mesi è stata caricata su un barcone ed è sbarcata in Sicilia». Non ha mai temuto di morire. Di affogare e di non dare più alcuna notizia a quel suo amato ragazzo che da tre anni sente, a fatica, solo al telefono.  E se anche fosse morta, ne sarebbe valsa la pena. «Il giorno successivo, dopo 17 ore di autobus, è stata portata da noi», spiegano dal Cara. Da allora è cominciata la pressante richiesta degli operatori alle autorità perché non si perdesse altro tempo a concedere il lasciapassare verso la Germania. Il via libera non è ancora arrivato. «Se entro ottobre non riceverà l’ok – assicura Chiorazzo – pagheremo di tasca nostra il viaggio al figlio, perché finalmente possa ritrovare la madre». Sperando che, per una volta, la burocrazia non sia più spietata dei trafficanti.
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