lunedì 8 febbraio 2016
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Zika è la parola che sibila oggi per il mondo come un cupo allarme di paura, dai Paesi dell’America Latina dove il virus ha maggiormente acceso la sua virulenza fino ai già inquietanti piccoli numeri del contagio importato in Europa dai viaggiatori. A diffonderlo è una zanzara. La sua puntura non è mortale, anzi i disturbi che procura sono paragonabili a quelli di una banale influenza, a volte persino senza sintomi, che passa in pochi giorni. Ma se a essere contagiata è una donna incinta, ci sarebbe il rischio che il bambino possa nascere microcefalo, così almeno si sospetta tenendo d’occhio alcuni dati statistici, seppur non incrociati e senza certezza di un’evidenza causale. Ma ciò basta all’angoscia, perché sono paure, queste, che fanno gelare il sangue.Come proteggere la vita, la salute, e allontanare la paura? Come sconfiggere il virus, come neutralizzare il suo vettore? Dai giorni in cui la diffusione delle notizie d’allarme attraverso i media ha fatto il giro del mondo, abbiamo sentito pochi discorsi e pochi progetti rivolti alla controffensiva farmacologica (non esiste vaccino), alla profilassi igienica, alla bonifica ambientale, al soccorso sociale, all’intervento di sostegno di organismi internazionali. Abbiamo visto invece l’irruzione dell’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al-Hussein, che ha indicato ai Paesi colpiti da zika la soluzione: «Garantire il diritto all’interruzione di gravidanza». Ma il distillato dell’intera solidarietà rappresentativa del mondo è dunque la voce della morte?Domenica 7 febbraio in Italia è la Giornata per la vita. Dovrebbe essere festa, significare gioia. Qualcosa che almeno una volta in un anno va evocata in cuore, perché la stiamo perdendo. I nostri orizzonti quotidiani sono infatti pieni di immagini di morte, e non solo per la fragilità connaturata di fronte a rovinose calamità (un breve fremito della terra può far crollare le nostre torri), ma per la follia che ci fa chiamare vittoria, a turno, la distruzione a turno della città bombardata, rasa e risorta e rasa di nuovo sugli strati di terra e di morti; la follia dei corpi torturati; dei profughi bambini affogati (a centinaia) bocconi sulla spiaggia come il piccolo Aylan; e la lunga normalizzata agonia di vita che è frutto dell’esclusione sociale, della miseria, dell’oppressione, dell’indifferenza, e in definitiva dello scarto.La Giornata della vita parla di speranza, e spera nonostante tutto, perché il suo pensiero più profondo abbraccia il quotidiano miracolo della novità della vita, la prodigiosa promessa di bene che germoglia in ogni nuova vita umana. Se minacciata da un male, lo spontaneo pensiero "umano" è di proteggerla, custodirla, ripararla. Il dolore dell’infermità innocente richiede un sovrappiù d’amore; e anche una condivisione, che non lascia la fatica sulle spalle di "chi l’ha avuta l’ha avuta", ma ne spartisce il soccorso. Secondo l’Oms, Zika sta diventando «emergenza mondiale», e in tal caso potrebbe incrociare i nostri stili di vita e di scelta nei casi di rischio di microcefalia.Si può anche immaginare  che paura e dolore, se lasciati in solitudine o in abbandono, producano fantasmi di morte; ma è proprio in quello snodo drammatico che la voce d’una comune umanità dovrebbe farsi premurosa e provvidente, in luogo di suggerire la morte per sgravarsi dal problema. Ciò che si sopprime non è un problema, è una vita. Forse in sede Onu si potrebbe almeno pensare se non convenga attrezzarsi per sopprimere zanzare anziché esseri umani. Le precauzioni in fondo sono semplici, dicono gli esperti;  via i ristagni d’acqua, uso di repellenti, retine alle finestre, accorgimenti bastevoli. Solo che le zone di povertà e di disagio sociale, al solito trascurate e lasciate ai margini, sono quelle dove l’epidemia esplode, nell’incuria e nel degrado. È anche questo il panorama della sfida della vita contro Zika e il suo panico; la cura di non lasciarsi contagiare il cuore dall’altro virus, quello del disamore.
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