martedì 26 novembre 2013
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Viiviamo in un tempo di crisi, che mette a dura prova i valori cristiani; ma di fronte a questa crisi non tutti reagiscono allo stesso modo. Si va da coloro che, preda di strani accecamenti, si rifiutano di percepirla e giungono perfino a negarla, a quelli che, all’opposto, ritengono che questa crisi sia ormai giunta al suo culmine e assumono l’atteggiamento fatalistico di chi si sente già definitivamente sconfitto. Gli atteggiamenti intermedi tra questi due sono ovviamente più sensati, ma anche tra di essi si possono cogliere divergenze profonde. Vorrei riflettere in particolare solo su due di essi, ambedue profondamente sbagliati, per ragioni molto diverse. Il primo è quello "tradizionalista". Il tradizionalista va a caccia delle ideologie (e dei movimenti che le supportano): è convinto che l’Occidente stia subendo un violento processo non solo di secolarizzazione, ma di vera e propria "scristianizzazione", un processo che opererebbe sia sulle singole persone (alterando in esse la percezione del vero bene) sia sulle istituzioni (deformando in primo luogo la famiglia e più in generale la società civile e quella politica). Questo processo, per il tradizionalista, non sarebbe attivato da dinamiche spontanee o impersonali, ma dietro a esso andrebbe visto un vero e proprio progetto volto a scardinare le radici cristiane del nostro vivere sociale: un progetto malvagio, e al limite diabolico, contro il quale si deve reagire, perché non tutto è ancora perduto; un processo contro cui bisognerebbe armarsi e combattere strenuamente e nei confronti del quale non sarebbe lecito venire ad alcuna forma di compromesso. È, questa, una posizione amara; pessimistica sì, ma non sconsolata, orientata a far riconquistare al mondo verità antiche, anzi eterne, che corrono il rischio di andare definitivamente perdute.

Ben diverso, se non opposto a questo modo di pensare, è quello delle "anime belle", cioè di coloro che, senza negare la crisi del mondo presente, la leggono come un ineluttabile portato dei tempi o, perfino, come un’occasione di grazia: piuttosto che strapparsi le vesti davanti alla crisi della famiglia, alla banalizzazione del sacro, al dilagare dell’ateismo, alle manipolazioni biomediche e più in generale al biologismo dominante, bisognerebbe comprenderne le ragioni, e, piuttosto che contrastarle, rivitalizzarle orientandole verso il bene. Anche coloro che si riconoscono in questa prospettiva desiderano salvare il mondo, ma non credono che abbia senso pretendere che esso divenga diverso da come esso è o che possa ritornare a ciò che è stato in passato: la questione sarebbe piuttosto quella di accettare il bene che comunque lo pervade, per portarlo alla luce.

È difficile conciliare questi due modi di pensare: il primo vuole una sola cosa, restaurare il passato; il secondo vuole una sola cosa, allontanarsi il più possibile dal passato per costruire il futuro. Per il primo solo la tradizione è sacrosanta; per il secondo solo far nuove tutte le cose. Facciamo l’esempio più ruvido: per il primo la più corretta lettura dell’omosessualità è quella tradizionale, che l’interpreta come un’esperienza di peccato, che va severamente denunciata; per il secondo invece è un’esperienza da interpretare in modo radicalmente nuovo, come quella di uno spazio di amore, che va riconosciuto per il bene interpersonale che da esso può conseguire.

Ambedue le posizioni cadono in un errore profondo, antitetico, ma simmetrico, che concerne l’essenza del male. L’errore del tradizionalismo sta nel non riuscire a percepire la vera radice del male. L’errore delle anime belle sta nel volerlo minimizzare o addirittura ignorare. I tradizionalisti, angosciati (giustamente!) dal male, se ne difendono pensando che il male sia sempre e solo negli altri, nei "nemici" della fede e della Chiesa e nelle dottrine che essi professano. Di qui gli atteggiamenti ansiosi, arcigni, ostili, accusatori, persecutorii e purtroppo (a volte) anche violenti nei confronti di chiunque non appaia allineato con gli insegnamenti che provengono dal passato. È triste rilevare come così si arrivi a volte a sfiorare addirittura la paranoia, percependo perfino nelle parole dei Pastori un indebito allontanamento dalla tradizione. Ma l’insegnamento di Gesù sul male non è paranoico (Mt 15,18): non sono gli altri che devono farci paura, ci insegna il Vangelo, ma noi stessi. Non è ciò che proviene dal di fuori di noi, ma piuttosto ciò che proviene dal nostro cuore quello che ci contamina.A loro volta le "anime belle", accettando le dinamiche della modernità come un indiscutibile progresso, non si rendono conto di non prendere sul serio il male, svuotando dal di dentro l’idea di peccato; non capiscono che il mondo ha bisogno di perdono, non di esaltazioni, o di frettolose assoluzioni e meno che mai di semplicistiche giustificazioni; non capiscono la profondità dell’ammonimento paolino: bisogna vagliare tutte, tutte, tutte le cose, senza scartarne alcuna, ma poi tenere esclusivamente ciò che è buono e rigettare tutto il resto.Ecco perché davanti ai problemi familiari, sessuali, bioetici, sociali di oggi, prima di accusare, vituperare, manifestare disgusto e soprattutto condannare, è indispensabile guardare dentro di noi per scoprire in quale misura noi stessi siamo i primi responsabili di ciò che sta avvenendo. E prima di assolvere e giustificare le nuove forme di esperienze familiari, sessuali, bioetiche, sociali bisogna indagare seriamente di quali ferite (antiche, ma soprattutto nuove!) esse possano essere responsabili. Teniamoci lontani dagli errori, dagli scenari apocalittici che i tradizionalisti amano dipingere, dalle polemiche mediatiche che si accendono e si spengono nell’arco di poche ore, dalle banalizzazioni politicamente corrette delle anime belle, dal compiacimento di chi si esalta nel delineare pretesi nuovi diritti… Viviamo in un tempo antropologicamente confuso. Ma per metterlo bene a fuoco, non ci salveranno né le invettive della "destra" né le fughe in avanti della "sinistra". Odiare la modernità, come fanno i tradizionalisti, è altrettanto sbagliato quando rifiutarsi di vederne le deformità, come capita alle anime belle. Torniamo a guardare dentro di noi, cioè dentro l’uomo. È terribilmente difficile, ma è l’unica strada che ci è lecito percorrere.

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