giovedì 31 luglio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Ci avviamo alla conclusione del primo mese di guida italiana della Ue. Il quadro non è esaltante: non c’è ancora accordo sulla nuova Commissione, il commissario finlandese uscente per l’economia non ha risparmiato "frustate" all’Italia e la candidatura Mogherini a capo della diplomazia dei Ventotto è nel mirino di una decina di Paesi membri. Vero è che all’Italia tocca guidare l’Europa in uno dei momenti più bui della sua storia. Se guardiamo alla fotografia che fornisce l’Eurobarometro – l’ente che rileva l’opinione pubblica europea –, vediamo una comunità politica ferocemente spaccata in due. Sotto lo stesso tetto oggi convivono alcuni Stati – pochi – i cui cittadini pensano che la situazione economica sia «totalmente positiva» (tra questi Austria, Germania, Svezia e Finlandia) con altri – tanti e tra questi l’Italia – in cui il giudizio sulla situazione economica è senza appello: «totalmente negativa». Dunque, l’Italia si trova a governare l’Europa a cavallo di una faglia tettonica che continua implacabilmente a divaricarsi. Viene allora da chiedersi: che cosa possiamo fare? Come arrestare questo declino dell’idea europea che, a partire dalla crisi del 2008, pare ormai irreversibile? C’è un contributo che l’Italia può dare? C’è un "gene" italiano senza del quale il DNA europeo non sarebbe più quello?Per rispondere occorre capire il cuore della crisi attuale. Senza giri di parole: è una crisi di fiducia. Nessuno oggi in Europa si fida più dell’altro: i tedeschi proteggono i loro interessi, anche a costo di strangolare i greci o gli italiani; viceversa, i portoghesi o gli spagnoli chiedono soldi per pagare i loro debiti, poco importa se prelevandoli dai risparmi legittimi degli austriaci o degli olandesi. Dietro l’eterna – pur cruciale, ma ormai stucchevole – battaglia tra "rigore" o "crescita", tra "conti in ordine" o "investimenti", sotto sotto, la verità è che non ci si fida più dell’altro. Eppure, a ben vedere, la stessa origine dell’Europa unita è un paradosso della fiducia. Proviamo a chiederci: cosa spinse i francesi, gli italiani, gli olandesi, i belgi o i lussemburghesi a fidarsi dei tedeschi nel 1950? Cioè di chi, solo 5 anni prima, sotto il governo nazista, aveva sterminato intere popolazioni vicine? Qualcosa li ha spinti a stringersi la mano e a stipulare un patto destinato a durare sino a oggi. Si dirà: ecco la solita elegia dei tempi andati! Ideali astratti che oggi non tengono più, abbiamo bisogno di risposte concrete. Questo è il punto. E qui si gioca il contributo della storia e della cultura politica italiana.Oggi la crisi ci porta a sentire come "astratti" l’ideale e il bene comune e "concrete" le tasse o i bilanci. E invece la storia dell’Italia e dell’Europa dimostrano esattamente il contrario: ciò di cui c’è bisogno per produrre risultati concreti è proprio un grande ideale e un senso profondo del bene comune. Solo questo crea fiducia. Solo un grande ideale – più grande di me e di te – può giustificare un sacrificio. Il cuore del sogno europeo è la consapevolezza che l’altro è una opportunità e non un potenziale nemico. E se c’è un contributo originale della storia italiana, è stato proprio quello di saper "vestire" con panni concreti questo grande ideale. Come italiani, non abbiamo avuto dalla nostra risorse naturali o materie prime, la forza è sempre stata porre al centro la capacita creativa di un uomo libero.Allora fa bene il premier Renzi a iniziare il semestre europeo citando la "generazione di Telemaco", ma a patto di ricordare qual era l’eredità lasciata da quel padre forse un po’ ingombrante. Alla versione originale greca o a quella irlandese di Joyce, preferisco Dante, uno dei padri della cultura europea; l’Ulisse dantesco è un eroe perché scommette tutto sul "desiderio" dei suoi compagni uomini, creati non per vivere come animali, ma per seguire la virtù e il bisogno di conoscere. Occorre un grande ideale per generare risultati concreti, questa è l’eredità che Ulisse lascia a Telemaco.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: