venerdì 27 marzo 2015
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Il dentifricio, i pannolini, le pastiglie per la gola, i fazzoletti di carta, il biberon. E l’anticoncezionale d’emergenza. È l’istantanea del bancone di una qualunque farmacia italiana se il verdetto dell’Agenzia del farmaco (Aifa) sulla "pillola dei cinque giorni" EllaOne dovesse diventare operativo. Eventualità probabile, a meno che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin decida di attivarsi per tutelare la salute delle donne. Perché è di questo che si parla. Togliere la prescrizione medica prevista oggi per l’acquisto di EllaOne, pillola di cui non si conoscono gli effetti di un possibile abuso, basata su un principio attivo (ulipristal acetato) del quale non si può escludere l’azione antinidatoria sull’embrione, pare un azzardo difficilmente comprensibile, specie se si considera che per i contraccettivi tradizionali vige da sempre l’obbligo di ricetta. Pillole sì, EllaOne no? Eppure nessuno mette in dubbio il doveroso controllo medico sull’assunzione della comune "pillola", di cui sono arcinoti i possibili effetti avversi. È dunque indispensabile che l’autorità di farmacovigilanza spieghi questa resa alle disposizioni dell’ente europeo (Ema) – con la sola eccezione delle minorenni – che aveva cancellato l’avvertenza sul potenziale abortivo della pillola dei cinque giorni ingiungendo all’Italia di metterla in vendita accanto al colluttorio e allo shampoo in quanto farmaco "d’emergenza". L’Aifa dovrebbe anche chiarire perché ha ignorato il parere del più autorevole organismo consultivo per il governo della salute pubblica, quel Consiglio superiore di sanità che aveva appena suggerito al ministro di mantenere le regole attuali. Ma i punti oscuri non finiscono qui. Le disposizioni dell’Ema infatti erano state adottate con 21 voti a favore e 10 contrari, tra i quali anche i rappresentanti dell’Aifa che si erano concentrati sul «profilo della sicurezza del farmaco» lamentando la «mancanza di dati scientifici sufficienti per trarre conclusioni certe circa l’assenza di effetti fetotossici o teratogenetici», come aveva spiegato il 16 gennaio in Parlamento il rappresentante del Governo alludendo alle conseguenze nefaste su una gravidanza già in corso. E allora, perché mettere in commercio senza ricetta un farmaco sul gravano simili, gravi dubbi?
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