mercoledì 2 settembre 2015
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​Sulla politica economica il rischio, per il governo come per molti osservatori, è quello di cadere preda di una sorta di "sindrome bipolare". Di passare repentinamente, cioè, dalla depressione più nera, di fronte a dati congiunturali parzialmente negativi, a un’euforia ingiustificata quando, come accaduto ieri, le cifre diramate dall’Istat sono invece abbastanza positive. L’Istituto di statistica, infatti, ha comunicato che la disoccupazione risulta in calo, l’occupazione in aumento e persino il Prodotto interno lordo, a sorpresa, è cresciuto lo scorso trimestre più di quanto comunicato alla vigilia di Ferragosto. E così, d’emblée, sono partiti a raffica i tweet, i comunicati e le dichiarazioni: "L’Italia riparte", "Le riforme funzionano", "Ciao gufi" e via festeggiando da parte degli stessi che appena 15 giorni fa stavano in rigoroso silenzio o a denti stretti ammettevano: "Si può fare di più".In realtà, se si ha l’accortezza di leggere appena più in profondità i nuovi dati, ci si accorge di come essi siano sì positivi, ma ancora molto fragili, problematici, non tali da assicurare una progressione costante.Prendiamo il Prodotto interno lordo: nel secondo trimestre sarebbe aumentato non dello 0,2%, come calcolato a metà agosto, ma dello 0,3%. A far la differenza, per il governo, non è tanto il singolo 0,1% in più ma la cosiddetta "crescita acquisita" che per il 2015 sale così allo 0,6% (nel caso fosse 0 nei prossimi mesi) e potrebbe arrivare allo 0,8% se, come prevedibile, si registrasse un ulteriore lieve incremento del Pil. Un risultato più alto della previsione (0,7%) formulata dallo stesso esecutivo farebbe certamente comodo in fase di elaborazione della Legge di stabilità e più ancora da mettere sul tavolo della trattativa con la Commissione europea per garantirsi maggiori margini di flessibilità di bilancio. Detto questo, però, è sufficiente dare un’occhiata alla crescita prevista negli altri Paesi (a fronte del nostro +0,7% su base annua, la Gran Bretagna è al 2,6%, gli Stati Uniti al 2,3%, la Germania all’1,6% e la Francia all’1%) per rendersi conto di come noi, che già partiamo da un livello notevolmente più basso, stentiamo tuttora a tenere il passo delle altre economie più sviluppate.Anche la ripresa dell’occupazione, che pure si registra, rimane incerta e fragile. L’aumento degli occupati nel secondo trimestre, infatti, riguarda solo gli ultracinquantenni dipendenti, mentre calano i lavoratori nelle fasce 15-34 anni e 35-49 anni. Così pure, il tasso di occupazione generale sale dello 0,6% al 56,3% (appena), ma per i giovani 15-24 anni cede altrettanto e scende a un misero 15,1% (34,2% quello dei 18-29enni, anch’esso in calo). Guardando ai settori, poi, si può forse festeggiare il ritorno in positivo dell’edilizia (+34mila occupati) consci però che il settore viene da ben 19 trimestri di calo ininterrotto e ha perso centinaia di migliaia di addetti. Il mercato del lavoro, grazie soprattutto agli incentivi economici, insomma si consolida ma a questo ritmo di crescita occorreranno 10 anni – se non i 20 profetizzati dal Fmi – per recuperare i livelli di prima della crisi.Stappare lo spumante, insomma, è prematuro. La strada della ripresa è ancora lunga e incerta. Occorre in particolare non sbagliare le prossime mosse di preparazione della Legge di stabilità. Fra i tanti, e a volte contraddittori, dati diffusi in questi giorni sembra emergere che la piccola spinta alla crescita sia venuta questa volta soprattutto dalle famiglie. Che quest’anno sono andate un po’ di più in vacanza e che hanno fatto ripartire i consumi interni dopo una stasi di anni. È questo embrione di ottimismo, allora, che occorre far crescere, questa maggiore fiducia che è assolutamente necessario non deludere. Puntando su misure che agevolino la crescita dell’occupazione e dell’economia, certo, ma non meno sostenendo i nuclei più deboli e dando finalmente respiro fiscale alle famiglie con figli. Attenzione a pensare che quelle stesse famiglie si agevolino indirettamente attraverso i tagli delle imposte sulla casa o con altri provvedimenti "indifferenziati", come fu il bonus da 80 euro. Si rischia di sbagliare mira, rallentando ancora la ripresa. E di ricadere nella depressione.
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