giovedì 4 settembre 2014
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Dapprima la Crimea, annessa la scorsa primavera con magistrale tattica paramilitare utilizzando i fantomatici "omini verdi", poi le autoproclamate "repubbliche popolari" di Donetsk e Lugansk, quindi ancora la minaccia di un assalto russo alla città di Mariuopol sul Mare di Azov e infine – per ora – il boccone più succulento, il porto di Odessa sul Mar Nero. Occorre altro per comprendere la strategia di Vladimir Putin? O vogliamo rammentare come egli stesso definisce da tempo il sudest dell’Ucraina, utilizzando quel nome, Novorossia, in voga presso la Russia degli Zar, quando la sterminata distesa che va da Kiev alla Crimea non era nemmeno considerata una nazione, ma una fertile appendice dell’impero?Cosa Putin voglia non è un mistero. Per far diventare duraturo il "cessate il fuoco" (ieri, dopo un colloquio telefonico tra il capo del Cremlimo e il presidente ucraino Poroshenko, si è cominiciato a sperimentare l’ennesimo), Mosca – che pure insiste con esemplare improntitudine nel non ritenersi parte in causa nel conflitto – chiede sostanzialmente un riconoscimento alla secessione del Donbass e delle città dell’est in cui divampa la guerra civile, camuffata dalla necessità di assicurare corridoi umanitari e aiuti alle popolazioni coinvolte nello scontro fra l’esercito ucraino e i ribelli filorussi. Richiesta che si scontra con la reazione che in queste ore la Nato va allestendo (oggi ci sarà un summit a Newport nel Galles per stabilire come rispondere concretamente alla «minaccia russa») e che si può racchiudere nelle parole che il presidente americano Barack Obama ha pronunciato ieri nella sua visita lampo a Tallin, capitale di un’Estonia impaurita dall’aggressività del potentissimo vicino e dal 2004 insieme a Lettonia e Lituania membro a pieno titolo dell’Alleanza Atlantica: «La Russia ha destabilizzato l’est dell’Ucraina con un attacco sfrontato all’integrità territoriale di quel Paese e alla sovranità e all’indipendenza di una nazione europea. E noi non accetteremo mai un’occupazione da parte della Russia e un’annessione illegale della Crimea o di altre parti dell’Ucraina».Ma se sul piano della diplomazia si cercano spiragli di una soluzione politica in qualche modo condivisibile, dietro le quinte si respira un’aria non lontana da una realistica rassegnazione. Ne fa fede – ma è solo una delle fonti, perché anche a Kiev si odono insistite le stesse voci – un rapporto della Nato (teoricamente segreto, ma forse diffuso ad arte e poi pubblicato dal tedesco Der Spiegel) secondo il quale l’Ucraina è da considerarsi sostanzialmente già perduta. Ben poco infatti potrebbe il malequipaggiato esercito di Kiev di fronte alla brillante strategia militare messa in atto da Mosca e ancor meno può la Nato: non certo schierando una forza mobile di qualche migliaio di uomini al cospetto degli 830mila soldati in servizio permanente effettivo dell’orso russo, i suoi 43mila mezzi blindati, i suoi 4mila fra aerei ed elicotteri, le sue 352 navi da guerra mescolate all’onnipresente naviglio che si muove fra il Baltico, il Mar Nero e i mari del Nord.L'opzione militare, come si vede, è sostanzialmente impossibile per l’Alleanza Atlantica. Restano le sanzioni, la pressione internazionale sui mercati, la ricerca paziente di un punto d’intesa, ben sapendo che le ferite inferte all’economia russa provocheranno un contrappasso almeno altrettanto doloroso per quella europea, che in tempo di pace si avvaleva di un interscambio con Mosca attorno ai 400 miliardi di dollari l’anno. Per non dire della minaccia energetica: il rubinetto del gas che passa dall’Ucraina è pur sempre in mano a Putin e se l’Italia tutto sommato potrebbe sopportare un taglio alle forniture, la prima a tremare – letteralmente, di fronte al grande freddo che l’inverno porterà con sé – è proprio la Germania. Ed è questa minaccia a mutilare all’origine la fermezza dell’Unione Europea.Il risultato, per ora, è dunque quello di uno stallo nervoso e di un fatale riarmo da entrambe le parti: di qua la Nato, che riscopre nell’emergenza una vocazione andata smarrita dopo il crollo dell’impero sovietico, di là la Russia che di fronte alla "minaccia alla propria sicurezza" si propone di cambiare la propria dottrina militare e di rispondere colpo su colpo all’Occidente. In mezzo c’è l’Europa, nata sulle ceneri di una guerra e che ai venti di guerra ha sempre risposto con proposte di pace. Come dice l’Alto rappresentante in pectore Federica Mogherini, «non può esistere una soluzione militare». E, nonostante tutto, è verosimile che a una simile soluzione non si arrivi. Ma il prezzo da pagare a Putin è in qualche modo già scritto sulla carta geografica di quello fu il granaio d’Europa.
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