sabato 10 maggio 2014
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Questa volta l’accordo di pace, firmato dal presidente sudsudanese Salva Kiir e dal suo ex vice Riek Machar, potrebbe reggere. Perché, a differenza del cessate il fuoco siglato più di tre mesi fa e immediatamente disatteso da entrambe le parti, adesso è stato inserito il “patto politico” che mancava. E su questo punto Kiir sembra aver ceduto, soprattutto alle pressioni americane che avevano impresso, forse, una svolta decisiva alla crisi con la visita a Juba la scorsa settimana del segretario di Stato John Kerry. L’intesa siglata ieri sera ad Addis Abeba ora prevede infatti la formazione di un governo di transizione e la convocazione di elezioni anticipate, le seconde della breve storia del più giovane Stato del mondo.E’ naturalmente presto per esultare, ma un passo in avanti sembra essere stato compiuto. Se sia decisivo lo si comprenderà solo nei prossimi giorni. Soprattutto lo scopriranno sulla propria pelle il milione di sfollati che questa nuova guerra ha prodotto e i parenti delle migliaia di vittime che il conflitto ha lasciato sul terreno. Una guerra che rischiava, e rischia ancora come hanno sottolineato alcuni attenti osservatori, di trasformarsi in uno scontro (almeno di facciata) tra l’etnia dinka del presidente Kiir e quella nuer del suo ex vice. Ridurre tutto a un conflitto interetnico è però semplicistico. Perché dietro ai massacri, dietro gli attacchi e ai raid nei villaggi che hanno segnato questi mesi di violenze, c’è una posta ben più alta. Il controllo del potere a Juba significa denaro, vuol dire controllare i due terzi delle risorse energetiche che costituivano il “tesoro” del Sudan prima della partizione seguita al referendum d’indipendenza del luglio di tre anni fa. E se è pur vero che le zone con la più alta concentrazione di pozzi di greggio e di insediamenti di ricerca geologica restano formalmente da “assegnare” tra il Nord e il Sud del Sudan (con le rivendicazioni di Khartum che alimenta ancora le guerriglie in queste aree), è altrettanto innegabile che le risorse facciano gola a molti. Un dato di fatto che ha portato molti a leggere in profondità il conflitto che l’accordo di ieri sera potrebbe aver per ora fermato: una guerra, combattuta per interposta persona tra la Cina (titolare un tempo dei contratti di estrazione, quando anche al Sud regnava il dittatore islamico del Nord, Omar el-Bashir) e l’Occidente da tempo estromesso dall’accesso all’oro nero dell’Africa.
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