domenica 21 aprile 2013
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Il soprassalto di saggezza politica e istituzionale nel qua­le anche noi avevamo sperato c’è stato. L’Italia ha di nuovo un «presidente di tutti», e lo ha di nuovo in Gior­gio Napolitano. Stavolta, con quel consenso amplissimo che sette anni fa lo storico leader della sinistra già comu­nista non riuscì a ottenere dal Parlamento e che nell’e­sercizio delle sue funzioni – pur non rimanendo immu­ne da polemiche e critiche, e affrontandole da par suo – ha saputo meritarsi. Solo la consapevolezza della disperata e disperante im­potenza di tutte le forze e frazioni politiche – tutte, nes­suna esclusa, anche quelle che più hanno lavorato per paralizzare sino al collasso il 'sistema' – poteva indurre il capo dello Stato uscente a ripensare il suo ripetuto 'no' a qualunque ipotesi di rielezione. E c’è da essergli grati per avere, con la propria costruttiva disponibilità, strappato via dalla logica di guerra più dei due terzi del Parlamen­to repubblicano. C’è da essergli riconoscenti per il sup­plemento di altissimo servizio istituzionale al quale si ap­presta in un passaggio difficile e duro, davvero cruciale, della vita nazionale. La sua figura sobria, la cultura dia­logante, la naturale misura, il senso del dovere sono un riferimento saldo pure per chi, in tutto o in parte, non ha condiviso o apprezzato il lungo percorso politico-istitu­zionale di cui è stato protagonista. E di fronte alle pole­miche e alle manovre esasperate e devastanti di vecchi e nuovi personaggi della scena pubblica rappresentano un antidoto esemplare, non solo utile ma, come si è visto, al­la fin fine indispensabile. Un esempio? Beppe Grillo è pas­sato, ieri, da una nuova annunciata marcia su Roma di «milioni» (!) di propri sostenitori con finale e incendiario comizio di piazza contro un proclamato «golpe» a una più politica e civile conferenza stampa (non solo un mo­nologo, si spera, ma un normale incrociarsi di libere do­mande e di libere risposte...). Se lo ha fatto, è anche e so­prattutto perché una personalità del calibro e della po­polarità di Napolitano è di nuovo al vertice delle nostre malmesse istituzioni e al centro del tentativo di dare esi­to ragionevole e proficuo allo stallo politico e di governo che proprio Grillo, coadiuvato alacremente dalle miopie altrui, ha sinora fatto di tutto per perpetuare. Non è inutile sottolineare, infatti, che questa prima con­ferma nel suo ruolo di un presidente della Repubblica (Napolitano era e resta l’undicesimo della serie) è una conferma, solenne e persino drammatica, della gravità della situazione in cui versa l’Italia: il Paese legale piaga­to dalle sterili supponenze dei partiti tanto quanto il Pae­se reale piegato da una crisi economica e sociale sempre più pesante. La conferma del capo dello Stato è, cioè, la conferma della necessità assoluta di agire il più concor­demente possibile, con visione davvero lungimirante, per ridare lavoro e speranza agli italiani e per avviare una buo­na volta a conclusione – quell’equilibrata conclusione che attendiamo invano da quasi vent’anni – la tormen­tata transizione dalla Repubblica pensata dai padri co­stituenti a una nuova Repubblica che, tenendo fermo e caro il prezioso e attualissimo impianto valoriale della nostra Carta, si giovi di un ordinamento saggiamente ri­visto e ammodernato.
Quest’epilogo al tempo stesso incalzante e rassicurante della 'corsa al Colle 2013', per qualcuno era, in fondo, già scritto. Eravamo tre giorni fa, e siamo oggi, a una sorta di extrema ratio. A essa si sono inchinati il presidente Na­politano e la stragrande maggioranza dell’Assemblea dei grandi elettori. Qualcosa di generosamente e lucidamente analogo, nello sforzo per dare al Paese il governo possi­bile e necessario, dovrà essere fatto almeno dai partiti che hanno votato il bis del «presidente di tutti»: Pd, Pdl, Scel­ta Civica e Lega. Ognuno di essi ha, in proprio, problemi non piccoli (in qualche caso persino vitali) da risolvere, ma quelli 'di sistema' ora contano di più. Perché il 'si­stema' non è la Luna, siamo noi: le nostre famiglie, le no­stre città, le nostre aziende. Perché in ballo c’è la qualità della nostra democrazia e il futuro stesso della nostra gen­te, dei cittadini di questo Paese.
Siamo, insomma, al dunque. Si dice, a ragione, che biso­gna toccare il fondo per poter cominciare a risalire. E gli italiani, anche quelli più sfiduciati e spazientiti, sanno be­ne quanto ci sia bisogno, e ci sia bisogno adesso, di una reazione positiva e convincente alla realtà mortificante che viviamo (e alla pessima retorica che si fa su di essa). Certo, il tasso di intossicazione della nostra politica è co­sì alto da far temere che il fondo non sia stato ancora toc­cato, non da tutti almeno. Ma la risalita deve comunque cominciare adesso. Siamo certi che questo è il punto car­dine dell’agenda di Giorgio Napolitano. Più che mai au­guri, presidente.
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