domenica 19 febbraio 2012
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Erano ormai gli ultimi giorni. Camminavano verso Gerusalemme. In due si accostarono a Gesù. Abbassarono la voce, forse, nell’avanzare la loro pretesa? «Concedici di sedere, nella tua glo­ria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra», do­mandarono Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. E pare, nell’ascoltare il Vangelo di Marco in San Pietro mentre s’inizia il Concistoro, di sentire in quella domanda il fiato antico dell’ansia di pote­re, che da sempre domina gli uomini. Con una semplice frase Gesù annienta i sogni di gloria dei due: «Potete voi bere il calice che io be­vo? ». Una risposta «folgorante», dice Benedetto X­VI ai vecchi e nuovi Cardinali – il rosso delle por­pore che colma sanguigno la penombra della ba­silica, sotto la grande cupola, sotto alle parole mil­lenarie: «Tu es Petrus, et super hanc petram aedi­ficabo ecclesiam meam». Folgorante davvero, la risposta sulla via di Geru­salemme, tra Cristo che consapevole si avviava al­la Croce e già la annunciava ai suoi, e quelli che, testardi, non capivano: sempre bramando gloria e potere, come li si intende fra gli uomini. (Per­ché poi gli apostoli erano uomini come noi: pau­rosi, vani, ambiziosi, mormoranti. Uomini pro­prio come noi). La voce nella basilica ieri mattina era mite e chia­ra. L’ultimo successore di Pietro ai nuovi e vecchi principi della Chiesa ha ridetto la rivoluzione del Vangelo: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per far­si servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti». E ha aggiunto : «Queste parole illuminano con singolare intensità l’odierno Con­cistoro. Risuonano nel profondo dell’anima e rap­presentano un invito e un richiamo, una consegna e un incoraggiamento specialmente per voi, cari fratelli». Perché quella porpora imposta sul capo non è una corona di diamanti; quel suo rosso, è il colore del sangue. Segno, dice il Papa, di dedizio­ne assoluta e incondizionata ai fratelli e alla Chie­sa. «Usque ad effusionem sanguinis», fino all’ef­fusione del sangue. I porporati in San Pietro sono uomini con la gio­vinezza alle spalle. Inconsueto esercito con i ca­pelli grigi, o a volte già candidi, nelle parole del Papa si sentono forse scossi come giovani solda­ti cui un generale ricordi che sono chiamati a u­na grande battaglia. Non c’è tempo per compia­cersi di medaglie e stellette, né per sognare ono­ri - come quei due, sulla via di Gerusalemme. La ragione che anima questo esercito è altra, tutt’al­tra: «La vostra missione sia sempre e solo in Cri­sto, risponda alla sua logica e non a quella del mondo», dice il Papa. La logica del mondo, di cui proprio l’altro giorno Benedetto ha parlato: logica del potere, del suc­cesso, dell’apparenza. Quella in cui in fondo, tan­to o poco, quasi tutti viviamo. In cui vivevano an­che gli apostoli, che si chiedevano ansiosi chi era il più grande, fra loro. Logica ribaltata sotto alla Croce da un uomo che disse: chi vuol essere il pri­mo fra voi, sarà il servo di tutti. Il mondo alla rovescia, il Vangelo che ancora ca­povolge i pensieri, anche quelli dei più sapienti. Farsi piccoli, contro l’istinto che preme e vuole do­minio e onori. Sono così gli uomini, lo sono sem­pre stati, né Cristo si scandalizzò di loro quel gior­no, sulla strada per Gerusalemme, quando, in di­sparte, pretesero di prenotarsi i posti migliori. Tut­tavia lo seguirono; e in quel seguirlo si ritrovaro­no perseguitati, prigionieri, ma grandi davvero. In tutta un’altra logica. Non in quella del 'mondo'. Il Papa ha detto al popolo cristiano di pregare per i suoi Cardinali, perché siano sempre fedeli a Cri­sto. E, ha aggiunto, pregate per me, «perché possa reggere con mite fermezza il timone della Santa Chiesa». A quell’immagine a noi è venuta in men­te una grande nave, la prua possente battuta da on­de alte e da un vento forte. Che resti ferma, fede­le, la mano di quell’uomo anziano al timone, ci siamo detti: con un accento di affetto, e gratitudi­ne filiale.
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