venerdì 27 febbraio 2015
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Da qualche tempo diversi indicatori economici segnalano che sull’Italia si sta finalmente per aprire una fase meno cupa. Le esportazioni, la produzione delle industrie, l’occupazione, mostrano cenni di ripresa che, nel contesto reso più favorevole dagli stimoli della Banca centrale europea, dall’euro più debole e dal calo dei prezzi petroliferi, possono far pensare a un 2015 di "ripartenza". Un altro elemento si è aggiunto ieri al quadro di moderato ottimismo, la fiducia dei consumatori tornata a salire dopo anni di depressione. La fiducia è un elemento decisivo in economia, e il segnale non è da sottovalutare, tuttavia questo scatto è più legato alle prospettive di lungo periodo che alla situazione attuale. Che resta abbastanza complicata, in molti casi drammatica.Prima che i segnali positivi possano trasformarsi in una condizione strutturale risollevando un Paese in ginocchio, dove un italiano su quattro è a rischio povertà, servirà del tempo. Saranno necessarie, soprattutto, piccole e grandi azioni capaci di aiutare dal basso, di tenere unite le comunità, di rafforzare le reti di sostegno vicino alle famiglie, di dare una mano in senso letterale alle persone quando il loro stato di bisogno diventa di ostacolo alla sopravvivenza e alla dignità. È, questo, il terreno dell’impegno delle nostre parrocchie, delle Caritas e delle migliaia di persone di buona volontà che fanno ricca l’Italia, persino più di tanti altri Paesi con Pil brillanti e conti pubblici virtuosi. Ed è l’esatta prospettiva nella quale si inserisce, coronando tante iniziative avviate nelle diocesi, il "Prestito della speranza", il progetto di microcredito sociale promosso dalla Conferenza episcopale italiana in collaborazione con Banca Intesa Sanpaolo-Banca Prossima. Proposto la prima volta nel 2009, a "Grande crisi" appena iniziata, il progetto ha erogato nelle sue prime fasi prestiti a 4.500 famiglie altrimenti escluse dal credito. Ora la Chiesa italiana assieme alla Banca partner, alimentando con l’8 per mille un fondo di garanzia di 25 milioni, punta molto più in alto: arrivare a prestare in due anni almeno 100 milioni di euro a 15mila soggetti, famiglie e coppie di fidanzati, ma anche piccole imprese, artigiani, nuove attività, giovani impegnati nel cercare o costruirsi un lavoro.Ci sono molti segnali di ripresa, oggi in Italia, ma la realtà, come ha ricordato il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, resta quella di «un Paese in affanno, che fatica a interpretare la ripresa e, quindi, a costruire il suo domani». Un contesto ancora caratterizzato, nonostante le previsioni incoraggianti, da disperazione, da una forte «incidenza della povertà e una diseguaglianza nella distribuzione del reddito». È per questo che il "Prestito della speranza", nella sua riproposizione, ha deciso di portare in primo piano l’emergenza drammatica del lavoro. Perché se la fiducia è una forma di credito che si attribuisce fondamentalmente a qualcun altro, una sorta di patto tra adulti destinato a migliorare la superficie dei rapporti, la speranza – virtù spontanea per natura – è come un credito che si concede alla propria anima, nella più profonda delle relazioni, ciò che rende possibile non solo rimettersi in cammino, ma l’idea stessa di futuro.Il microcredito è uno strumento semplice. Occorrono una dotazione iniziale e un istituto bancario disposto a superare gli schemi tradizionali dell’attività creditizia, oltre alla disponibilità di persone desiderose e capaci di accompagnare – e non di abbandonare, come accade in altri casi – chi ottiene il sostegno (qui i volontari di "Vobis", tutti bancari in pensione). L’esemplarità del "Prestito della speranza" è nella sua spinta a rendere universale l’accesso al credito, guardando in basso, tra i più deboli del tessuto sociale ed economico, dove la positività degli indicatori non riesce a farsi sentire né a essere capita. Ma dove è la rinascita della speranza, in genere, ad anticipare ogni altro tipo di ripresa, nella consapevolezza che se non si riparte dagli ultimi, nessuno di noi riparte veramente.
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