mercoledì 28 gennaio 2015
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Una buona e una cattiva notizia da Corleone. La buona è che finalmente un imprenditore ha denunciato la richiesta di pizzo, le vessazioni e le minacce mafiose. Ed è la prima volta che nel paese simbolo di "Cosa nostra" un imprenditore denuncia i suoi estorsori. La cattiva è che esistono ancora gli estorsori, malgrado le dure sconfitte subite della mafia corleonese, malgrado gli arresti dei boss più potenti e sanguinari, da Riina a Provenzano, da Bagarella a Aglieri. Estorsioni nuove, con metodi vecchi, portate avanti da mafiosi legati ai capi in carcere, ma anche da insospettabili, nuove leve o, molto più probabilmente, elementi cooptati per riempire i vuoti provocati dai durissimi colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Il segno preoccupante del permanere di una cultura o, meglio, non cultura mafiosa, che garantisce collaborazioni e alleanze, un mare dove ancora nuotano pescecani pronti ad azzannare. Ma anche il persistere della propensione ad accettare in silenzio le violenze mafiose. E questo accade in una Corleone sicuramente molto cambiata, in una Sicilia che dopo la stagione delle stragi e dei delitti eccellenti, ordinata, gestita e guidata proprio dai "corleonesi", ha vissuto una primavera partita dai nuovi comportamenti di una parte importante del mondo imprenditoriale. Tanto tempo è passato, e non solo in termini di anni, da quando venne ucciso Libero Grassi, lasciato solo dalle istituzioni e dai colleghi nella sua lotta alle pretese mafiose. «Non sono pazzo, non mi piace pagare, perché è una rinuncia alla mia dignità di imprenditore», aveva detto l’imprenditore palermitano in un’intervista tv a Samarcanda l’11 aprile 1991, dopo aver pubblicato l’1 gennaio una lettera aperta sul Giornale di Sicilia al "caro estorsore" nella quale annunciava che non avrebbe pagato mai e ne spiegava il motivo. Il 29 agosto il piombo dei killer inviati da Riina e Provenzano bloccò la vita di un uomo onesto e giusto, ma solo. Dopo 14 anni anche nel paese dei mandanti di quell’omicidio così choccante in tutti i sensi, il muro dell’omertà comincia a sgretolarsi. Una buona notizia che arriva dopo gli arresti eccellenti, le pesanti condanne e le dure confische. E dopo altri segnali positivi. A Corleone tutti i beni confiscati sono utilizzati e in gran parte gestiti da cooperative di giovani. Nella vecchia casa di Provenzano c’è il museo dell’antimafia. E l’area commerciale è intitolata proprio a Libero Grassi. Segni importanti, frutto anche di una politica locale che si è scrollata di dosso collusioni e collateralismi. Ma sul fondo restava e resta una cultura legata al passato. «Tanti pagano in silenzio perché si è sempre fatto così, perché è una sorta di garanzia», ci diceva alcuni anni fa l’allora sindaco Nino Iannazzo. L’inchiesta dei carabinieri e della Dda di Palermo che ha portato ieri in carcere mafiosi e insospettabili ne è, purtroppo, la conferma. La mafia non molla l’affare del pizzo, per la sua importanza economica ma, soprattutto, perché continua a rappresentare il più importante strumento di controllo del territorio: «Ricordati che noi ci siamo ancora». Questa volta, però, un imprenditore ha parlato, ha ammesso le richieste mafiose e ha denunciato anni di soprusi e vessazioni. Certo lo ha fatto a seguito delle intercettazioni nelle quali chiedeva ai mafiosi "uno sconto", ma lo ha fatto. Una decisione importante, un segnale che la denuncia è praticabile, anche là dove nessuno aveva osato. Lo aveva sperato Libero Grassi: «Vorrei solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare». Già, si può fare. Ed è particolarmente importante ora che la crisi economica rende le mafie ancor più potenti. Bisogna sempre più convincersi che le pretese sicurezza e tranquillità garantite dai mafiosi sono in realtà perdita di libertà e di dignità. Serve tuttavia una vera crescita culturale, che tolga linfa e manovalanza alle cosche, che strappi i giovani dalle illusioni di una vita di violenze e di facili ricchezze. Serve investire in cultura e lavoro. Non possono più bastare singoli comportamenti, preziosi ma isolati. La mafia è lì, la mafiosità è sempre lì in agguato.
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