martedì 29 marzo 2016
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Quando Gesù – con gli occhi di tutti puntati addosso – ebbe finito di leggere il passo di Isaia che profetizzava il riscatto degli avviliti e dei disperati, fece una predica fulminante. Un sermone di nove parole: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato».«Sarebbe potuto scoppiare un applauso», accompagnato da un silenzioso pianto di consolazione e di gioia, ha commentato il Papa nella sua omelia del Giovedì santo. Invece, incominciò a montare un risentimento gonfio di odio. Questa resistenza all’annuncio di Gesù mostrava già di essere pronta a tutto per corrompere la trasparenza delle sue parole e sporcare la bellezza dei suoi gesti. Avrebbe cercato di intimidire la fede del popolo delle Beatitudini, togliendole la fiducia. E avrebbe preso in ostaggio la religione dei Padri, oscurandone lo spirito.La Pasqua del Papa ha seguito idealmente il filo di quella straordinaria parola di Gesù, facendosi eco della sua bellezza e della sua potenza. E del suo segno di contraddizione nel momento presente.Francesco ha parlato al popolo delle Beatitudini, intendendo che tutti possono farne parte. Di più. Ha fatto comprendere che solo accettando di farne parte – condividendone le passioni e le sopportazioni, custodendone la tenacia e l’abnegazione, sostenendone le ferite e le umiliazioni – avremo accesso alla potenza della misericordia di Dio. È di lì, infatti, che risplende l’amore che ci libera dal male oscuro del peccato del mondo, che si presenta ogni giorno alla nostra porta.Mi sembra di vedere due chiavi di lettura essenziali in questo appassionato magistero pasquale della Misericordia di Dio, che restituisce la fede alla sua rivelazione autentica, e annuncia al mondo la conversione necessaria.Il primo è questo. La durezza del cuore dei credenti pone ostacoli alla potenza trasformatrice dell’amore di Dio quanto l’incredulità che viene a patti col male. Il popolo delle Beatitudini sarà mortificato da entrambe. Scosso nella sua fiducia in Dio, intimidito nel suo desiderio di riscatto, di riconoscimento, di sostegno e di speranza. La religione che si chiude nei propri recinti separati, che si prende cura solo dei presunti osservanti, che si lascia prendere in ostaggio dai dottori della lettera senza Spirito, ha già perso la sequela di Gesù: anche se invoca ogni giorno "Signore, Signore". È una religione che non semina più dovunque, con la signorile larghezza del Seminatore evangelico, perché ha deciso di selezionare lei stessa il terreno che le aggrada, lasciando il mondo al suo destino. È una religione che non rimette il debito, diventato impossibile da risarcire, con il gesto regale che ha imparato dal suo Signore. E rischia di farsi complice, piuttosto, del servo vigliacco della parabola: untuoso con il suo padrone, ma pronto a strangolare il suo compagno per un debito da poco.Da questa religiosità dispotica, interamente legalizzata, mondanizzata, ideologizzata, che sequestra la misericordia di Dio e non ascolta l’abbandono dei perduti, il Papa ci incalza a uscire, una volta per tutte. E ci scongiura farlo subito. Ma perché specialmente adesso?Perché oggi il mistero del Crocifisso e del Risorto, che lotta per conto di Dio contro i demoni della perdizione dell’uomo, illumina orribili associazioni fra una nuova barbarie e l’abuso del nome di Dio. E mostra una nuova vigliaccheria del paganesimo ingordo che ha contro-evangelizzato il pianeta, senza neppure la «dignità della vergogna» per le proprie responsabilità. Il triangolo del denaro - il mercato della guerra, la devastazione della terra, la corruzione del potere - ci affonda le navi occultando le prove. La religione del denaro assume proporzioni globali, con le quali ci sta insegnando a convivere: mentre impone ad altri di morire. Bisogna contrastarla in tutti i modi.La bella "Preghiera alla Croce" del Venerdì santo, in presa diretta con questa evidenza, ha ritrovato per noi la ruvida franchezza dei Salmi biblici, che abbiamo persa. L’appello del Papa è forte come una profezia dell’esilio. Se la religione perde l’evidenza evangelica della prossimità universale di Dio, e rimane impigliata nelle sue dispute di sacrestia, il passaggio salvifico del Crocifisso attraverso le nostre ombre terribili si trasforma nell’innocua commemorazione di una disgrazia, che ci lascia inerti. E la potenza del Risorto, che dà forza alle vittime e ammonisce i predatori, rimarrà un mito senza vita. Non lo è. «Il Signore è vivo e vuole essere cercato tra i vivi», ha ribadito papa Francesco. La comunione con questo mistero si attinge al Cenacolo. Ma lo Spirito ci spinge fuori anche di lì.
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