giovedì 29 gennaio 2015
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Nella Giornata europea della protezione dei dati, ieri, il Garante per la privacy Antonello Soro ha identificato l’obiettivo numero uno: «Un modello di sicurezza e di protezione dei dati personali perfettamente integrato in ogni dispositivo fin dalla progettazione, e non aggiunto a posteriori». L’intenzione è ottima e prudente, ma questo continuo trasferire le responsabilità ai dispositivi – cioè dalle persone alle cose – sembra un modo per spostare il cuore del discorso. Considerata più da vicino, la "privacy" è nata come termine appena nel 1890, in un articolo di due giuristi statunitensi. Dunque un concetto giovane, cresciuto con le democrazie e il mondo contemporaneo. Per privacy si intende il diritto a impedire che altri entrino nella zona individuale di riservatezza, o il diritto a controllare i propri dati personali. Il nodo è questo: qualcuno vuole intrufolarsi nei dati privati, qualcun altro vuole impedirglielo. Come si spiega?Una risposta, di tipo sociologico, passa per i comportamenti. Anzitutto quelli dei giovani e giovanissimi, che balzano da un social network all’altro e – lo dicono statistiche e interviste – se ne infischiano dei dati che lasciano: loro sono (o si sentono) già oltre. Ma accanto a questi ci sono i comportamenti degli adulti (genitori, formatori...), che a parole si preoccupano di tutelare la privacy propria e dei giovani, ma poi – per imperizia, trascuratezza, incoscienza – sono i primi che riempiono la rete di tracce cliccando qua e là: pubblicità suggestive, email sospette, siti curiosi, app "gratuite". Ma c’è anche un terzo comportamento, ed è quello che crea i rischi dei primi due: i dati personali sono valuta preziosa. Molta gente vive di dati, li insegue, li ottiene come riesce, offrendo in cambio app, giochi, accessi. Qualcuno, anche, li ruba. L’evoluzione della privacy passa quindi attraverso lo spostamento di valore dalle persone alle cose. Un esempio: nel mondo pre-digitale la nostra firma eravamo noi, il tratteggio della mano sulla carta. Oggi la "firma digitale" è molto più sofisticata del nome e cognome a inchiostro, protettissima e inimitabile, ma s’è staccata da noi. Basta darne la chiave alla segretaria, o al coniuge, e di fatto quella firma non è più "mia".Cos’è quindi la privacy? Quel che abbiamo voluto farne. Agli esordi del 2000 il «Grande fratello» tv fu l’annuncio pubblico del nuovo statuto della privacy. Rendeva interessante – oggetto di spettacolo – assistere alla vita privata di persone qualsiasi. Erano state quelle stesse persone a concedere – a "vendere" – la loro sfera personale. Da allora è stato definitivamente chiaro che indirizzi, telefoni, email, gusti, passioni, idiosincrasie, vizi, sono merce, e pertanto soggetti a compravendita. Questa è – è diventata – la privacy. Una cosa. Ne siamo responsabili, ma in quanto persone.
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