mercoledì 27 giugno 2012
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Per capire occorre andarci. Per rendersi conto di ciò che è accaduto è necessario parlare con la gente, stare in mezzo a loro per un po’ di tempo. Proprio come ha fatto ieri mattina papa Benedetto XVI che si è stretto alle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto. Ha compiuto una visita lampo, ma con quel gesto ha inteso avvicinare tutti coloro che in queste settimane vivono la dolorosa esperienza di una terra che pareva sicura e invece si è dimostrata un cratere. La frazione di Rovereto sulla Secchia, che si trova nel territorio comunale di Novi, in provincia di Modena e a due passi da Carpi, ha una vasta 'zona rossa'. Qui le famiglie stanno pagando un alto tributo alle scosse che hanno messo in ginocchio questo lembo di terra fra i più produttivi d’Italia. Le abitazioni e i condomini sono abbandonati. Non una sola attività commerciale è rimasta aperta. L’impressione è quella di un paese fantasma. Eppure ieri mattina si è vissuta una strana sensazione di attesa in quei luoghi così colpiti dal sisma. I fabbricati hanno il marchio del terremoto: profonde fenditure a forma di croce raccontano i momenti terribili vissuti che rischiano di fiaccare un popolo di solito non incline alla lamentazione. Anzi, il desiderio di tutti è proprio quello di rialzarsi al più presto e il passaggio del Pontefice ha l’effetto di una benefica scossa. Le parole del Santo Padre sono al tempo stesso di grande comprensione e di incoraggiamento. È in questo paese che ha perso la vita don Ivan Martini, il parroco rimasto sotto le macerie della sua chiesa, oggi inagibile come quasi tutte le altre della diocesi di Carpi. Il momento è difficilissimo e una delle paure maggiori è quella di essere dimenticati. È questo che si coglie, oltre che nelle parole, anche negli sguardi di chi si accalca per avvicinare il successore di Pietro. Questa è gente laboriosa, lo ha detto anche il Papa. Qui ci sono persone che non si abbattono facilmente. Siamo in una regione che fa dell’intraprendenza una delle doti migliori, da Piacenza fino a Rimini. Le violente scosse, però, rischiano di scoraggiare anche i più tenaci. È in tali frangenti che occorre trovare energie nuove, proprio come avviene in queste settimane di post­terremoto. È nel bisogno che emerge il meglio di ogni persona. Sono crollati gli edifici religiosi, ma non è crollata la Chiesa. Anzi, la comunità cristiana si fa prossima con chi è nell’emergenza, come è accaduto fin da subito, dopo il boato e lo sconvolgimento della terra degli ultimi giorni di maggio. È una Chiesa che si fa compagna di viaggio, che condivide l’esperienza del dolore, dell’abbandono della casa, della precarietà. È una gara di solidarietà, come quella descritta dal Papa che ha parlato di tante mani desiderose di curare. È la vita che ricomincia, con forza, coraggio e determinazione, «il segno più bello e più luminoso». È l’attualità del Buon Samaritano, non solo un episodio da narrare, ma una realtà da incarnare ora e subito. È l’esempio di chi si cura del vicino che si trova nella necessità, si preoccupa di lui e non lo abbandona finché il bisogno non viene superato. È l’Amore generoso e disinteressato che si mette in campo senza riserve. È l’impegno dei tanti giovani che sono giunti fin qui, nella piatta Bassa emiliana, a spendere le loro vacanze per fare giocare i bambini e i ragazzi in nome di un Dio che, anche nelle angosce, «è rifugio, fortezza e aiuto infallibile». Quel Dio che papa Benedetto ha reso ancora più vicino e familiare con la sua breve visita. Una visita trasformatasi subito nell’affettuoso abbraccio di un padre verso i figli che sono nel dolore, condensata nelle parole «non siete e non sarete soli».
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