domenica 26 agosto 2012
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Nelle scorse settimane diversi cantanti e personaggi dello spettacolo hanno solidarizzato con le Pussy Riot, condannate a due anni di prigione a causa della loro "preghiera punk" (in realtà un’esibizione blasfema) nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Ora, però, c’è chi sostiene che l’operazione sia stata sbagliata. Non perché le "cattive ragazze di Mosca" abbiano scelto metodi assai discutibili e volgari per esprimere il loro dissenso. No, per ragioni esattamente opposte.Chi davvero vuole sostenere le "cattive ragazze di Mosca", infatti, dovrebbe sposarne in toto la causa e condividere le provocazioni a 360 gradi. Lo scrive un giornalista russo, Vadim Nikitin, in un a dir poco discutibile articolo su The Nation , ripreso dall’ultimo numero di Internazionale con l’eloquente titolo «La solidarietà ipocrita dell’occidente».Il giornalista afferma che 'i sostenitori delle Pussy Riot in occidente farebbero bene a capire che il dissenso delle loro eroine non si esaurirà con Putin e non si fermerà anche se la Russia dovesse diventare una 'normale' democrazia liberale'. E aggiunge: «Le Pussy Riot vogliono qualcosa che è terribile, provocatorio e minaccioso per l’ordine stabilito, in Russia come in occidente: la libertà da una società patriarcale, dal capitalismo, dalla religione, dalla morale convenzionale, dalla diseguaglianza. Dobbiamo dare il nostro sostegno a queste coraggiose donne solo se anche noi siamo convinti di voler andare fino in fondo». Prendere o lasciare, afferma Nikitin: impossibile solidarizzare con le Pussy Riot per le loro critiche alla politica russa se non si dimostra entusiasmo anche per le trovate delle tre ragazze del collettivo punk, tra cui – solo per fare un esempio – la partecipazione, nel 2008, di una delle tre (al nono mese di gravidanza) – a un’orgia pubblica in un museo di Mosca. «Chi vuol sposare la causa delle Pussy Riot – decreta Nikitin – deve farlo per intero: non si può avere il femminismo divertente, filodemocratico e ostile a Putin senza l’anarchismo incendiario, le provocazioni sessuali, le oscenità esibite e le posizioni di estrema sinistra» Ebbene, è vero proprio il contrario: si può leggere con curiosità il fenomeno-Pussy Riot come ennesima spia del malessere della società russa (prima ancora che della politica dello zar Putin, che non saremo certo noi a difendere!), senza – per questo – appoggiare le modalità volutamente caustiche e aberranti della protesta da esse condotta.Da un punto di vista sociologico, infatti, le Pussy Riot si possono leggere come una sorta di "effetto collaterale" dell’apertura del vaso di Pandora di una Russia che, uscita dall’epoca della guerra fredda e del muro di Berlino, stenta a trovare una sintesi armonica tra la sua ricca tradizione culturale e religiosa e le nuove sfide della modernità. Le Pussy Riot, sotto questo profilo, rappresentano un sintomo della "malattia russa", non certo la ricetta che possa salvare quel Paese.Vadim Nikitin provocatoriamente stabilisce un parallelo fra le Pussy Riot e i dissidenti russi degli anni Settanta: l’Occidente – dice – trova conveniente "sposare" le cause della società civile russa nella misura in cui servono a colpire il potere: ieri i burocrati dell’Urss, oggi Putin e la sua corte. A noi pare un escamotage strumentale e del tutto fuori luogo: i vari Pasternak, Sakharov, Sharansky, Solgenitsyn... avevano ben altro spessore culturale e ben altra levatura morale. E, certamente, un rispetto per la tradizione russa e un amore sincero al loro Paese che le "cattive ragazze di Mosca" debbono ancora dimostrare.
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