venerdì 28 marzo 2014
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I numeri parlano chiaro, è di nuovo emergenza nel Mediterraneo. Sono state oltre 2.200 le persone salvate la settimana scorsa, in poco tempo si dovrebbe salire a 4.000 e gli esperti faticano a ricordare una situazione simile. Nei primi 90 giorni del 2013 erano sbarcate più di 900 persone, oggi siamo a quota 10mila. Si deve tornare al 2011 e alla fughe causate dalla primavera araba per trovare un quadro simile, per giunta destinato a peggiorare. Tutte le fonti umanitarie segnalano carovane di profughi in viaggio sulle rotte dall’Africa sub sahariana e dalla Siria verso la Libia.Tuttavia ancora una volta l’ondata di sbarchi annunciati rischia di trasformarsi in un’emergenza. Manca sempre da Bruxelles un piano di redistribuzione tra i 28 Paesi membri della Ue dei profughi sbarcati in Italia per vicinanza geografica, ma che in Italia non vogliono restare. Nell’attesa che l’Ue batta un colpo, bisogna comunque organizzare bene l’accoglienza dei disperati in arrivo come ieri, in una nota congiunta e puntuale, hanno ricordato quattro organizzazioni – Cnca, Arci, Caritas italiana e Fondazione Migrantes – chiedendo di evitare situazioni già viste come il ricorso ad «alberghi fatiscenti e isolati», lanciando invece al governo Renzi un appello ad attivare rapidamente un piano organico per gestire l’emergenza e il sistema ordinario, coordinando Viminale, Anci e Terzo settore per evitare un’emergenza Nordafrica bis. Gli sbarchi dimostrano ancora una volta il fallimento della strategia europea di contenimento dei flussi delegato ai libici attraverso i rimanenti accordi con il traballante regime del dopo-Gheddafi. Il patto è in realtà saltato, ha vinto il crimine, unica realtà organizzata in Libia. Rapporti americani parlano di saldature tra mafie italiane, africane e gang locali, emanazione delle tribù, per dividersi la torta del traffico di uomini, droga e armi. I costi umani di questa situazione sono molto alti. Le testimonianze dai centri di detenzione, spesso pagati da Roma e Bruxelles, denunciano celle stipate, torture e abusi sui migranti, ai quali basta pagare un riscatto ai secondini – miliziani o poliziotti – per riprendere il viaggio della disperazione. Avevano ragione gli esperti a prevedere, dopo il terribile naufragio di Lampedusa, non più arrivi stagionali, ma flussi inarrestabili verso la Fortezza Europa.Le vie da percorrere per arginare il traffico di morte sono quelle affiorate nel dopo naufragio di Lampedusa e poi inabissatesi. Le ricordiamo: per quanto riguarda i siriani, profughi di guerra, prevedere corridoi di accesso nella Ue dal Libano e dall’Egitto; per quanto riguarda i migranti subsahariani, consentire alle ambasciate Ue la concessione di visti di ingresso provvisori o prevedere alternative di ingresso in Europa, dove poi andranno effettuate le procedure per la concessione o meno della protezione umanitaria. In assenza di tali provvedimenti, non v’è alternativa alla pur costosa e discussa operazione Mare Nostrum, voluta dal governo Letta per evitare ulteriori stragi dopo il disastro di Lampedusa. Il fatto che la nave "Aliseo" abbia sparato o meno sugli scafisti in fuga non cambia la sostanza delle cose: il pattugliamento della frontiera marina ha consentito il salvataggio in mare di migliaia di esseri umani su carrette a rischio naufragio. Va, perciò, mantenuto e magari con il contributo di altri partner europei. Alcuni stati Ue – e parte dell’opinione pubblica continentale e italiana – ritengono "dannosi" tali salvataggi perché attirerebbero nuovi sbarchi. Idee inaccettabili e smentite dai fatti: davanti alla prospettiva di una vita migliore, i disperati in fuga da conflitti, persecuzioni e miseria non esitano a rischiare la propria vita in mare. Tocca all’Italia, che il primo luglio assumerà la presidenza Ue, rilanciare con forza il tema e imprimere una vera svolta a Bruxelles. È scaduto il tempo della mediazione al ribasso, è il momento di cambiare passo.
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