venerdì 2 agosto 2013
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Silvio Berlusconi è stato condannato. Inappellabilmente. La Corte di Cassazione ha, dunque, sancito che per la giustizia italiana il fondatore di Forza Italia e del Pdl ha evaso il fisco e frodato gli azionisti di Mediaset: un affare da 280 milioni di euro. Dopo una ventina di archiviazioni e assoluzioni (variamente motivate), dopo sei processi chiusi per prescrizione, dopo un paio di amnistie e mentre altri quattro procedimenti giudiziari a suo carico sono ancora aperti, siamo insomma arrivati alla prima sentenza definitiva contro l’ex presidente del Consiglio che, attualmente, è il capo politico della seconda forza di governo. Per questo, nel giro di poche settimane, l’ultrasettantenne Berlusconi verrà, come si dice, “ristretto” anche se non in carcere e per tutti e quattro gli anni sentenziati, bensì per un anno ai domiciliari o, forse, di affidamento in prova ai servizi sociali. Sarà lui a poter scegliere. E non sarà comunque una scelta lieve. Resta, poi, aperta la questione dell’interdizione dai pubblici uffici dell’attuale senatore della Repubblica, visto che la Cassazione ha imposto la rideterminazione (al ribasso) dei cinque anni stabiliti in giudizio di appello. Ma l’effetto della solenne pronuncia è comunque tale da aprire subito il tema – politico-istituzionale tanto quanto morale – dell’uscita del condannato dall’Assemblea parlamentare di cui è membro e da imporre, in modo a nostro parere ancor più lancinante, la verifica della tenuta della straordinaria e utilissima larga intesa che consente l’azione del «governo di servizio» guidato da Enrico Letta, affiancato nel ruolo di vicepremier da Angelino Alfano. È difficile dire quanti italiani si interesseranno ora al merito della grave e scottante vicenda giudiziaria giunta a conclusione e quanti, invece, ragioneranno (o, meglio, sragioneranno) secondo recuperate e dure categorie polemiche, quelle stesse che hanno segnato sterilmente per quasi due decenni lo scontro politico senza requie tra berlusconiani e antiberlusconiani. Ma francamente è ancora più difficile appassionarsi a cronache e valutazioni che fanno parte di un passato che appare più che mai necessario archiviare. C’è semplicemente da augurarsi che la stragrande maggioranza dei cittadini di questo Paese piuttosto si interessi, ragioni e a suo modo “faccia il tifo” per la tenuta e per l’efficacia di un quadro di governo che – nella condizione data – è essenziale per mantenere l’Italia sulla troppe volte vagheggiata invano “via d’uscita” dalla sua triplice crisi: economica, politica e sociale. Una via che finalmente comincia a tracciarsi e che proprio in questa fase bisogna saper imboccare con decisione e tempismo. Non per ultimo, come subito ha suggerito con lucido realismo il presidente Napolitano, avviando anche la sospirata riforma della giustizia delineata dai “saggi” incaricati dal Colle e ben possibile ora che lo “scandalo” si è consumato sino in fondo, ora che un esito solido e dirompente ha portato al suo acme e come conchiuso la sterminata vicenda politico-giudiziaria che ha opposto soprattutto (ma non solo) la Procura di Milano e il dominus del gruppo Mediaset-Mondadori e principale leader della cosiddetta Seconda Repubblica. La scelta anche in questo caso non è lieve e, purtroppo, non è del tutto scontata. Grava su persone e partiti, e certamente – ultimo lascito del leaderismo berlusconiano e antiberlusconiano – più sui vecchi e nuovi capipartito che sulle vecchie e nuove formazioni da essi guidate. E per quanto qualcuno si affanni a dire che la storia, magari anche con la “S” maiuscola, ha ieri voltato una volta per tutte pagina, non c’è dubbio che di nuovo una specialissima e inevitabile responsabilità tocchi al protagonista principe di tutta la vicenda: Silvio Berlusconi. Il leader del Pdl ritiene di aver subito, a ripetizione, torti persino più gravi della condanna che gli è stata ora inflitta. E protesta da sempre non solo la propria innocenza, ma il proprio totale disinteresse personale nell’azione politica e di governo. Oggi il Cavaliere ha l’occasione per dimostrare in modo inequivocabile a tutti, ma proprio a tutti, che questi sono i suoi sentimenti e il suo impegno. Prima l’Italia.​​​​​​​​
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