venerdì 18 aprile 2014
​Sequestro-lampo di un vescovo in Centrafrica. Ancora prigioniere le studentesse rapite in Nigeria.
di Paolo M. Alfieri
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«In questo momento la Nigeria sta vivendo la sua Passione. Tutti questi attacchi, questo sangue, queste perdite innocenti. Stiamo celebrando i riti pasquali in unione con le sofferenze di Cristo. I tempi sono molto difficili, ma la speranza non ci abbandona, anzi ci fortifica. Ci sono tante nuove “chiese” che cercano di far presa sulla gente parlando solo di prosperità, senza menzionare la sofferenza. Ma la sofferenza è parte stessa del messaggio cristiano. È parte della Croce».John Namaza Niyiring è vescovo di Kano, quattro milioni di abitanti in quel Nord della Nigeria devastato dagli islamisti di Boko Haram, gruppo estremista che per dettare la sua agenda non esita a colpire ripetutamente le comunità cristiane e le sedi governative.
Avrebbe buoni motivi, il vescovo Niyiring, per parlarci solo dei problemi che affliggono la sua regione. Della povertà, della corruzione. E di un terrorismo che sta estendendo i suoi tentacoli anche oltreconfine, moltiplicando i contatti con altri gruppi africani, dagli shabaab somali ad al-Qaeda nel Maghreb islamico. Eppure, nell’imminenza di questa Pasqua, monsignor Niyiring affida ad Avvenire parole piene di fiducia nel futuro, che evidenziano anche la voglia di partecipazione di questo spicchio d’Africa alla vita della Chiesa. «Martedì scorso – dice – abbiamo celebrato le cresime e la cattedrale non riusciva a contenere tutti. C’erano centinaia di persone che si accalcavano per assistere ai riti, e lo stesso è accaduto con la celebrazione della Messa in Coena Domini. Abbiamo ricordato le vittime degli attentati di pochi giorni fa ad Abuja, che hanno fatto oltre cento morti, ma abbiamo pregato anche per tutti i morti provocati dagli attentati di Boko Haram negli ultimi anni nei vari Stati della Federazione».
Certo, il contesto è tale che anche la Chiesa ha dovuto prendere le sue precauzioni per proteggere i fedeli da possibili attacchi. «Ad esempio non consentiamo alle automobili di entrare nei nostri compound – spiega ancora monsignor Niyiring –, usiamo degli strumenti elettronici per individuare la presenza di eventuali armi e la polizia presidia all’esterno le parrocchie durante le funzioni religiose. I fedeli comunque hanno dimostrato di non avere paura e di saper affrontare anche questo pericolo».
Due settimane fa nelle mani di Boko Haram sono finiti anche due sacerdoti italiani, Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri, e una suora canadese, Gilberte Bussier. Gli estremisti sono andati a prenderseli nel nord del Camerun, nella loro parrocchia di Tche’re. «La minaccia del terrorismo ci accompagnerà ancora per molto tempo: anche se l’intensità degli attacchi potrà variare, non sapremo mai quando i terroristi staranno per colpire – riflette il vescovo di Kano –. Pensiamo alle 129 studentesse rapite nei giorni scorsi a Chibok, mentre si preparavano per gli esami di diploma. Purtroppo non credo sia facile che si arrivi al loro rilascio. Alcune saranno abusate, altre uccise, molte non rivedranno mai più le loro famiglie. Eppure ripeto: la speranza non deve mai abbandonarci».
Proprio ieri era giunta la notizia, diffusa dall’esercito nigeriano, secondo cui un centinaio delle studentesse rapite erano state liberate in un’operazione condotta dai militari. Più tardi, però, la stessa direttrice della scuola ha smentito tutto, riferendo che sono solo 14 le giovani tornate libere dopo essere scappate agli uomini di Boko Haram.
A poche centinaia di chilometri dal Nord della Nigeria, anche la Repubblica Centrafricana vive un momento piuttosto complicato. Un anno fa il colpo di Stato contro il presidente François Bozizé aveva portato al potere la coalizione dei ribelli islamici Seleka. Nei mesi successivi l’intera popolazione civile è rimasta intrappolata da una violenta estrema e radicalizzata, condotta dagli stessi uomini della Seleka e dai loro rivali, gli anti-balaka. Questi ultimi definiti spesso dai media come «cristiani». «Sono tutto fuorché cristiani, anzi in gran parte sono animisti», evidenzia ad Avvenire padre Aurelio Gazzera, missionario che da anni vive a Bozoum, a 400 chilometri dalla capitale Bangui. «I rapporti tra musulmani e cristiani non sono mai stati problematici – spiega padre Aurelio –. Negli ultimi mesi, però, molti islamici sono dovuti fuggire per gli attacchi subiti dalle milizie anti-balaka. I problemi affrontati dal Centrafrica non sono religiosi, lo dimostra il fatto che molte famiglie musulmane sono venute anche a nascondersi da noi in convento. Il problema semmai è etnico, politico ed economico. La speranza è che i musulmani tornino».
Anche per i cristiani la situazione è complessa. Appena ieri si è saputo del sequestro-lampo subìto dal vescovo di Bossangoa, Nestor Desiré Nongo Aziagbia, rapito mercoledì assieme a tre sacerdoti della sua diocesi, nel nord del Paese, da un gruppo di miliziani della Seleka e liberato dopo 24 ore. «Il vescovo di Bossangoa – ha commentato la Comunità di Sant’Egidio – è fortemente impegnato, con tutta la Chiesa centrafricana, nell’opera di riconciliazione nazionale e nell’assistenza alle migliaia di profughi che in questi mesi hanno cercato rifugio nelle strutture cattoliche».
Padre Aurelio ammette la sua amarezza nel dire che quest’anno «il Centrafrica arriva alla Pasqua con un bagaglio pesante, rappresentato anche dalla fuga di molte famiglie musulmane. Dobbiamo tornare a vivere insieme come abbiamo sempre fatto. E la Pasqua può essere proprio l’occasione per ripartire». Nonostante i timori di scontri e nuove violenze, la comunità cristiana locale ha affrontato la Quaresima con spirito saldo. «Abbiamo tenuto una bellissima giornata di preghiera e digiuno sulla collina e, il 29 marzo, un altro importante momento di preghiera in cui abbiamo aiutato la gente a riflettere sulla realtà del Paese».
Con tutte le sue difficoltà, insomma, anche l’Africa che più fa fatica non si arrende e guarda avanti. Il boom economico degli ultimi dieci anni (mediamente anche del +7-8% in alcuni Paesi) ha proiettato il continente in una nuova dimensione, consentendogli di attirare ingenti investimenti stranieri. La crescita non ha però prodotto i risultati sperati né sul fronte della lotta alle diseguaglianze – tanto che quasi un africano su due vive ancora oggi in estrema povertà – né su quello della stabilità politica. Le crisi ricorrenti – basti pensare al Mali, alla Somalia, al Sud Sudan, dove ancora ieri si è registrato un nuovo attacco a una base dei caschi blu a Bor, con almeno 20 morti e 60 feriti tra i civili rifugiati all’interno – sono il segno di un’estrema fragilità a livello istituzionale. E non va dimenticato il ruolo che, in queste crisi, hanno spesso avuto l’Occidente, la Cina e le grandi multinazionali in cerca di materie prime. La speranza, però, tiene vivo un continente che non vuole smettere di crederci. E che in questa Pasqua vede l’ennesima occasione di rinascita.
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