sabato 12 marzo 2016
​Una riflessione di Alessandro Zaccuri su due vicende che fanno discutere: le lacrime di Madonna per il figlio che l'ha lasciata e i discorsi dei padri dei due assassini di Roma.
Il delitto, il dolore. E le parole (superflue) dei genitori
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Un passo indietro, meglio ancora di lato. Nella zona d’ombra, ma non fa niente, perché si sapeva già che sarebbe andata così: l’amore per i figli è il più assoluto e terribile, non prevede contropartita, non è soggetto a condizioni. Si ama e basta, niente è dovuto. Ecco perché, davanti al male che i figli patiscono e – peggio ancora – davanti al male che i figli compiono, ai genitori non resta che farsi da parte, magari prendendo a esempio quel personaggio di un romanzo bello e severo di qualche anno fa, I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti, cronista padano, nel quale il compianto Valer Binaghi ritraeva un padre che assisteva in silenzio al processo in cui il figlio, satanista e assassino, era imputato. Non parlava, quel personaggio, e non perché non fosse abbastanza istruito per farlo. Ma perché, da quel momento in poi, non era più la sua voce ad avere importanza. Un padre sta lì e basta, e in quello stare c’è tutto l’amore che non si potrebbe esprimere altrimenti. La cronaca di questi giorni ci presenta padri e madri che compiono scelte differenti. Dalla rockstar Madonna, che non perde occasione per piangere davanti ai fan la decisione del figlio Rocco, volato a Londra dal padre Guy Ritchie (ma non era lei la trasgressiva, la paladina della ribellione, l’insofferente a ogni predica e convenzione?), a Valter Foffo e Ledo Prato, genitori rispettivamente di Manuel e Marco, in carcere per l’orribile uccisione del giovane Luca Varani. Due padri che a parlare non hanno rinunciato, Foffo presentandosi nello studio di “Porta a porta” a poche ore dall’arresto del figlio e Prato con una lettera aperta affidata al proprio blog, nella quale annuncia la volontà di andare avanti, nonostante tutto. Indignazione e sostegno, sdegno e approvazione. Le parole di questi due uomini sono già state commentate abbastanza, non senza l’ormai consueto richiamo alle eventuali colpe della famiglia. Ma qui non è in questione il giudizio, una volta tanto. Non è in questione il torto e la ragione. È che semplicemente, anche ammesso che siano giuste, le parole dei padri sono comunque superflue. Davanti all’inspiegabile e al cospetto dell’innominabile si fa un passo indietro, ci si mette di lato, si lascia che il dolore (cane e più che cane, come lo chiama Ulisse) morda fino in fondo. Non c’è altro modo per essere padre, per essere madre.
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