giovedì 19 giugno 2014
​Il peggioramento non è dovuto solo alla recrudescenza delle guerre, ma anche al deterioramento della situazione interna in molti Paesi, complice la crisi economica. (Raul Caruso)
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Misurare la pace è la sfida lanciata dall’Institute for Economics and Peace di Sydney, che presenta l’edizione 2014 dell’Indice globale della pace (Global Peace Index). Esso si basa su un’idea semplice ma cruciale: la pace è un fenomeno multidimensionale. Non è cioè definibile come la mera assenza di guerre e di conflitti tra Stati, ma è pervasiva nella vita delle società e influenza la vita economica e sociale in maniera profonda. L’indice, pertanto, riassume ventidue misure di violenza e altre attività distruttive ulteriormente classificabili secondo tre aree: militarizzazione, sicurezza interna e esistenza (o partecipazione) di conflitti esterni. Rispetto al 2003, a livello globale si registra un deterioramento dei livelli di pace. Tale risultato è spiegato da un lato dall’aumento e dall’aggravamento dei conflitti in corso in diversi scenari in Africa e Medio Oriente, tra cui in particolare Siria, Sud Sudan, Afghanistan ed Iraq, oltre che dal più recente scontro interno in Ucraina. I conflitti in corso hanno determinato in diverse regioni livelli più elevati di militarizzazione, e anche un maggior numero di profughi. In Siria, ad esempio, il 12% della popolazione è da considerarsi rifugiata. Nel contempo, se si guarda ai livelli di pace e sicurezza interni, si registra un peggioramento dei livelli di crimine violento in molti Paesi del mondo, cui si associa un tasso più elevato di persone detenute. Da notare, inoltre, che uno dei cinque Paesi che hanno registrato la peggiore perfomance in termini di pace è l’Egitto in cui all’instabilità politica interna si è accompagnato un aumento significativo del crimine.I Paesi più pacifici al mondo rimangono Islanda e Danimarca, seguiti dall’Austria. I Paesi meno pacifici sono invece Siria, Afghanistan e Sud Sudan. Tra i grandi attori globali, Stati Uniti e Cina si collocano al 101° e al 108° posto rispettivamente, ma peggio si comportano India e Russia, rispettivamente al 143° e 152° posto. Se si guarda ai grandi Paesi d’Europa, il continente più pacifico, la Germania perde alcune posizioni andando ad occupare il 17° posto, l’Italia si mantiene stabile al 34°, piazzandosi così prima di Gran Bretagna e Francia, rispettivamente 47ª e 48ª a livello mondiale. C’è da rilevare, purtroppo, che, tra i grandi Paesi della Ue, l’Italia registra la performance peggiore in termini di pace interna, vale a dire di sicurezza della società. Il peggioramento in termini di sicurezza interna si è evidentemente accompagnato dal deterioramento della situazione economica degli ultimi anni. In questo l’Italia riflette il trend globale negativo cominciato nel 2008. In particolare, gli indicatori che più hanno determinato tale tendenza sono stati i livelli più elevati di scambi internazionali di armamenti e il numero di omicidi.Il mondo, quindi, sta divenendo meno pacifico rispetto al passato, e questo non lo si deve solo alla recrudescenza delle guerre, ma anche e soprattutto al deterioramento della pace interna in molti Paesi. Tra il 2008 e il 2014, il tasso globale di omicidi è aumentato di più del 20% e anche il livello di percezione della criminalità, i livelli di crimine violento e il tasso di incarcerazione hanno registrato incrementi anche se più contenuti. Il deterioramento appare anche più marcato se si considera il dato procapite (-12%) e non quello calcolato su base nazionale. In questo senso, è emblematico il caso dei Paesi dell’America centrale che pur non essendo in guerra sono dilaniati da livelli elevati di omicidi e crimini violenti.

Non ultimo, l’assenza di pace nel mondo ha dei costi che sono quantificabili: quasi 10.000 miliardi di dollari, vale a dire l’11,3% del Pil mondiale. Questa cifra equivale a circa due volte l’economia dei Paesi africani. Rispetto al 2012 si registra un aumento di quasi il 4% a livello mondiale. La voce principale in questo bilancio rimane la spesa militare elevata nei Paesi in conflitto e nei sistemi dittatoriali, seguita dai costi crescenti legati al contenimento della criminalità. La Corea del Nord, dittatura militare, è il Paese che registra il maggior peso sul Pil dei costi per il contenimento della violenza con una quota pari al 25,5% seguita da nazioni in guerra come la Siria (24,1%), l’Afghanistan (23,5%). I Paesi che investono meno dell’1% del loro Pil nel contenimento della violenza a tutti i livelli sono il Bhutan e l’Islanda. L’Italia registra una quota del 2,9% sul Pil, inferiore a Germania e Francia (3,8%). Gli Stati Uniti presentano una ragguardevole quota del 10,2% del Pil, spiegata principalmente dall’ingente spesa militare.Il Global peace index è l’occasione per riproporre una riflessione più profonda sulla natura multidimensionale della pace e della sua capacità di modificarsi nel tempo. In particolare, l’indice globale della pace si pone come sfida alla classe dirigente perché quest’ultima si doti di strumenti idonei a comprendere l’insieme dei fattori che informano in maniera decisiva la vita delle nostre società. Evidentemente appare sempre più chiaro che le minacce alla pace delle nostre società non provengono esclusivamente da nemici esterni, ma si manifestano e si concretano sempre di più all’interno. Il deterioramento della pace all’interno dei Paesi mina i legami che rendono possibile il contratto sociale nel quale siamo abituati a vivere. Detto diversamente, la nostra sicurezza interna diminuisce a detrimento del nostro benessere e forse anche della nostra rappresentatività e sostenibilità democratica.  Questo tipo di considerazione appare tanto più rilevante anche nei Paesi europei mediamente più pacifici rispetto al resto del mondo, ma in cui la pubblica opinione, ma soprattutto le politiche e le scelte delle nostre classi dirigenti, appaiono informate esclusivamente da criteri quali l’equilibrio di bilancio, l’austerità e la crescita del Pil nel breve periodo. Per evitare che i nostri livelli di pace continuino a deteriorarsi, pregiudicando la qualità della vita delle generazioni future, la proposta e i contenuti del Global Peace Index rappresentano in questo senso una sfida e un’eccellente base di partenza per avviare una solida riflessione in merito alle esigenze di pace delle nostre società e alle politiche idonee a realizzarle.

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