mercoledì 7 dicembre 2011
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Il governo sta facendo gli interventi giusti, quel­li che devono essere fatti. Ma una manovra di questa portata funziona soltanto se è sostenuta dai cittadini, dalla grande maggioranza del Paese, anche da coloro che avrebbero buone ragioni e le­gittimi interessi per protestare, o per chiedere al­tre strategie e altre soluzioni più efficienti e/o e­que. Dobbiamo essere coscienti che qui si tratta di scalare una montagna, irta e difficile, una scalata dall’esito incerto. Ciò che è certo è che la durata sarà lunga, poiché questa crisi richiederà diversi anni prima di essere in qualche modo superata. Quando una squadra di alpinisti deve affrontare una vetta, soprattutto se difficile e alta, durante la preparazione i vari componenti possono e deb­bono discutere sulla parete più idonea, l’attrezza­tura e l’equipaggiamento adatti, il momento del­l’anno più favorevole, il cibo e tanti altri aspetti. Ma, una volta partiti, le discussioni terminano e si la­vora tutti nella stessa direzione, si guarda tutti ver­so la sommità della roccia, poiché se ora quella comunità di persone non è coesa, con-corde e non coopera, non solo tutto diventa terribilmente più complicato, ma si rischia seriamente di non rag­giungere la vetta. Il governo ha predisposto strumenti, efficaci, cer­tamente perfezionabili eppure sostanzialmente e­qui, adeguati per la difficoltà della scalata, ma se non scattano l’impegno e l’intesa tra i membri del­la cordata, per quanto robuste siano le corde e buono l’equipaggiamento, non si compie alcuna impresa. Oggi l’Italia ha senz’altro bisogno di stru­menti tecnici e di equità, ma ha bisogno anche di con-cordia (stesso cuore e corda) tra i cittadini: non dobbiamo commettere l’errore, gravissimo, di pensare che i principali o unici protagonisti di questa sfida siano le istituzioni, l’Europa, il gover­no e le banche, e che ai cittadini sia solo chiesto, passivamente, di fare solo più sacrifici. Non basta l’impegno dei capicordata per fare la scalata. In realtà, c’è un ruolo coessenziale della società civi­le, e di un cambiamento dell’etica pubblica di noi cittadini italiani. Non c’è solo una responsabilità sociale delle imprese e delle istituzioni: c’è oggi bi­sogno di una nuova responsabilità sociale di ogni cittadino. A questo proposito sono interessanti alcuni studi che provengono dalla recente teoria economica e sociale, che vanno sotto il nome di 'reciprocità forte' (strong reciprocity). Si sta scoprendo che se si vuole mantenere, generare o rigenerare la coo­perazione in un determinato ambito civile (am­biente, fisco, beni comuni …) è necessario che nel­le persone sia presente un’etica pubblica e conse­guenti comportamenti di tipo 'orizzontale' (tra cittadini) e non solo "verticali" (ciascuno nei con­fronti delle istituzioni). Se, per esempio, si vuole mantenere un parco pulito, non è sufficiente con­trollare o delegare il rispetto delle norme coope­rative agli 'organi competenti'; è necessario, e co­essenziale, che tra i cittadini si sviluppi una cultu­ra del prendersi cura dell’altro direttamente. Si è dimostrato che in simili casi, senza lo sviluppo nei cittadini di forme di ringraziamento esplicito per i comportamenti virtuosi degli altri, e senza rim­proverare chi getta cartacce per terra, la coopera­zione non parte o non si mantiene nel tempo. Questa cultura orizzontale è molto più presente nei popoli nordici (lo sa bene chiunque abbia viag­giato in aereo accanto a una inglese o a un tede­sco, e abbia acceso il cellulare qualche secondo prima dell’avviso ufficiale). Nei popoli latini e me­diterranei, invece, in simili situazioni o non si fa nulla, o in aereo si chiama l’hostess, perché sia lei a rimproverare il vicino inadempiente. Oppure si risponde a chi ci dice «non puoi entrare nel giar­dino della scuola con l’auto», con la triste espres­sione «ma ti hanno assunto in Comune?». E que­sti fatti non sono l’ennesima pagina del libro dei buoni sentimenti civilmente irrilevanti: dietro a essi c’è molto di più e di diverso. Questi segnali, co­munissimi e ordinari, dicono che nel nostro Pae­se l’etica pubblica è troppo demandata e delega­ta alle istituzioni. Non riguarda me in quanto cit­tadino, ma 'l’hostess' o 'il Comune'. Invece, an­che un rimprovero da parte di un concittadino, o un grazie, è espressione di quell’ 'I care' (mi pren­do cura) che Don Milani scrisse sulla lavagna del­la scuola di Barbiana; un "I care" che nel sistema pedagogico e civile di Don Milani era antitetico al fascista "me ne frego". Dove non c’è la cura non c’è nulla di autenticamente umano, perché, come ci ricorda il libro della Genesi, dove non c’è la cu­stodia dell’altro non c’è l’indifferenza, ma da qual­che parte si nasconde il fratricidio di Caino. Chiediamo allora, e tanto, alle istituzioni coeren­za, equità, di dare il primo esempio nei sacrifici. Ma non chiediamo di meno a noi stessi, né agli al­tri compagni di cordata.
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