mercoledì 18 luglio 2012
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C’è in ballo, a quanto pare, addirittura l’uno per cento del Pil. E allora ecco la lista: via Sant’Ambrogio, via Sant’Agata, via Sant’Ubaldo, via San Gennaro... E ancora via Primo Maggio, via 25 Aprile, via 2 Giugno... Potrebbe sembrare una questione di toponomastica, e invece – ohibò – è una questione di ricchezza perduta. Fare festa costa e soprattutto – ma chi l’avrebbe mai detto – interrompe i ritmi di produzione e di lavoro e, dunque, fa più povera l’Azienda Italia. Così, nel Governo Monti, c’è chi ripropone un’operazione già architettata e fallita in autunno: sradicare dalle tradizionali giornate di riferimento feste patronali e feste patrie per accorparle alla prima domenica utile (o tutt’al più al sabato). Sarebbe l’ultima, rombante e sferragliante, passata di rullo compressore su un calendario che per tanti italiani e italiane non ha più domenica, il cristiano <+corsivo>dies dominicus<+tondo>, il «giorno di Dio e della comunità» come ci ricorda il Papa, cioè quella benedetta "altura" in fondo alla salita della settimana sulla quale ci si può riposare e rigenerare e dalla quale si può alzare lo sguardo in alto e intorno e ripartire per un nuovo percorso. Ma, si sa, i rulli compressori danno un senso di potenza a chi li maneggia... E adesso si vorrebbe spianare tutto il resto.Perché, appunto, si dice, c’è in ballo l’uno per cento del Pil. L’uno per cento, mica scherzi. Basterebbe spazzar via tutte quelle secolari anomalie festaiole fondate sui sentimenti religiosi e popolari della nostra gente, su radicate o più recenti tradizioni civiche o su avvenimenti legati alle vicende storiche e sociali di quest’Italia che ha appena compiuto 151 anni di unità politica e 64 di sana e robusta (nonostante i tempi grami) Costituzione repubblicana. Una bella rivoluzione nichilista, naturalmente secondo il costume di qualcun altro (che i nostri non son degni di nota né di rispetto...).L’ironia è amara. E anche un po’ irata. Sebbene sia forte e motivato il sospetto che neppure a colpi di cannone si riuscirebbe a demolire nella testa e nel cuore degli italiani del Sud, del Centro e del Nord le "loro" feste, le nostre feste. Si potrebbe, poi, in modo meno presuntuoso e ottuso, fare anche un po’ di conto. Fino a capire, magari, che la ricchezza civile e umana delle piccole e grandi Feste dei nostri territori e della nostra Italia vale, anche in soldoni, ben più di un punto di Pil.<+copyright>
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