martedì 30 settembre 2014
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​Non è vero che Matteo Renzi non voglia e non sappia "trattare". È una leggenda metropolitana che anche lui, un po’, alimenta. Ne è dimostrazione l’annuncio della disponibilità-sfida del presidente del Consiglio e leader del Pd a una grande trattativa in tre punti (la rappresentanza sindacale, la contrattazione di secondo livello cioè in fabbrica, e l’introduzione del salario minimo) con i sindacati dei lavoratori. Se partirà, sarà dura, ma soprattutto sarà una cosa buona per il governo del Paese e farà bene al mondo del lavoro e allo stesso sindacato. Buona tanto quanto, su un piano complementare e diverso, la lucida convinzione con cui Renzi ha preso di petto la questione (e l’inspiegabile mortificazione da parte della politica) del Terzo Settore, cioè di quell’economia civile e non profit che in collaborazione con la buona impresa sociale tanto può fare, dal basso, sussidiariamente, per sostenere il welfare in crescente affanno nel nostro Paese.Non è vero che Matteo Renzi non voglia e non sappia andare oltre gli slogan. È un mito che anche lui, abilmente, continua a costruire sfornandone sempre di nuovi, saettanti e straordinariamente efficaci (slogan così saettanti ed efficaci, da far spesso impallidire la resa in termini concreti, inevitabilmente lenta, delle politiche che quelle serie suggestioni annunciano e avviano). Lo sottolinea la realizzazione e la strenua difesa dell’ormai celebre «bonus degli 80 euro». E, in modo diverso, la prontezza con cui ha riaperto i giochi con la minoranza del Pd (nonostante, ieri, l’incrociar di lame con vecchie glorie e giovani rampanti) sull’archiviazione finale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se porterà frutto, cioè più lavoro – e lavoro buono –, la radicale ristrutturazione dell’impianto delle garanzie per operai e impiegati non più dotati di una corazza anti-licenziamento (ormai fatta a pezzi da globalizzazione e crisi), lo scopriremo solo sperimentandola. E, per questo, un po’ di umiltà nell’affrontare questo passaggio non guasta e neanche diminuisce la statura del politico riformatore, che ha doveri (e suggeritori) incalzanti, ma non la sfera di cristallo.Non è vero che Matteo Renzi sia uno che dimentica particolari importanti. In questi primi pochi mesi di governo non gli abbiamo sentito dimenticare nulla. Ha parlato (e cominciato ad agire) anche per i più dimenticati di tutti, da parte di governanti e capi politici occidentali: coloro che sono perseguitati a causa della propria fede, in particolare cristiana. Ma davvero, poco o tanto, ha parlato di tutto, il premier, e in modo non banale: scuola (in primis), e poi pubblica amministrazione, mondo non profit, lavoro, industria, famiglia... Quando non menziona qualcosa di essenziale, è perché pensa di non aver qualcosa di importante da dire in proposito. Faccio due esempi non casuali, per farmi capire bene. Da ieri sera, dobbiamo probabilmente preoccuparci un po’ meno per la scuola alla quale, mentre tutti i dicasteri ragionano di tagli, il premier ha promesso maggiori risorse per un miliardo di euro nella prossima legge di stabilità. Ma, a quanto par di capire, dobbiamo preoccuparci ancora di più per la famiglia: alla quale Renzi non ha dedicato mezza parola e non ha destinato mezzo centesimo. Neanche i soldi necessari a dare un po’ di equità al «bonus degli 80 euro» estendendolo, almeno, alle famiglie monoreddito con tre (o più) figli oggi considerate pseudo-ricche – quante volte ne abbiamo scritto e quante storie di fatica di vivere abbiamo raccontato, in queste settimane! Brutta scelta o piccata amnesia? C’è da augurare alle famiglie (e allo stesso premier) che nessuna delle due ipotesi sia quella giusta.Non è vero, infine, che Matteo Renzi sia distratto. Ne abbiamo mille prove, tutti i giorni. Ma qualche volta vuole esserlo...

Domenica sera dagli schermi di Rai3, pungolato da Fabio Fazio che ha messo la Cei nello stesso mazzo dei "poteri forti" finanziari e mediatici, si è concesso una battuta lunare e un po’ vittimista: «Io sono cattolico, adoro il fatto che i vescovi possano intervenire nel dibattito pubblico. Quando intervengono ho da imparare. Ma noto che in questi anni sono stati un po’ troppo zitti mentre si consumava una catastrofe educativa...». Chi è stato sulla terra, in questi anni, sa con quanta forza «i vescovi», cioè la Chiesa italiana, hanno proposto a tutta la società, politica compresa, – e senza nascondere nessun aspetto della questione – quella che è stata definita una «sfida educativa» e che il 10 maggio scorso, attorno al Papa, hanno riunito centinaia di migliaia di persone a Roma «per» tutta la scuola. E anche chi non ne condivide lo sguardo sull’uomo e sulla donna sa con quanta passione e profondità «i vescovi», cioè la Chiesa italiana, hanno parlato e formato, in questi anni, contro le «catastrofi» propiziate dal disprezzo della vita (soprattutto se piccola e debole), dell’individualismo, dell’arrivismo, della sopraffazione, della mercificazione delle persone... Ciò che oggi papa Francesco racchiude nell’impressionante immagine della «cultura dello scarto». Chi è cattolico, poi, dovrebbe sapere che «i vescovi», cioè la Chiesa italiana, hanno messo al centro dell’azione pastorale del decennio che stiamo vivendo l’«Educare alla vita buona del vangelo». Un’idea che può suonare impolitica, ma è molto coraggiosa e semplicemente cristiana. E Matteo Renzi, anche se non lo dice, questo lo sa.

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