martedì 19 agosto 2014
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​Sembra ormai certo che per fine agosto il governo varerà un provvedimento ad hoc per il mondo della scuola. Le indiscrezioni giornalistiche delle ultime settimane, ma anche alcune dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, ne hanno anticipato in parte i contenuti. Si può nutrire qualche perplessità su un decreto che metta insieme questioni molto diverse: dal sistema di reclutamento dei docenti alle modifiche dei curricula didattici, dall’incremento delle reti internet all’introduzione di alcune novità all’esame di stato. Tuttavia non si può non essere fiduciosi nel constatare che la scuola sembra essere una priorità di questo esecutivo. A patto, sia chiaro, che alle buone intenzioni seguano fatti concreti.Vediamo dunque alcune delle novità trapelate negli ultimi giorni, per valutarne luci e ombre. Innanzitutto verrà reso effettivo il sistema di valutazione nazionale delle scuole: bene, perché conoscere il livello di partenza è essenziale per migliorare; su questo tema bisogna vincere le resistenze. Si preannuncia, per il 2015, un nuovo concorso a cattedre: positivo anche questo, perché servirà a svecchiare la classe docente (molti sono i pensionamenti previsti nel prossimo biennio), ma non trascuriamo la questione dei precari, assunti e licenziati una volta all’anno, magari per molti anni; spesso sono professionisti di prim’ordine, pluriabilitati e plurispecializzati, penalizzati da graduatorie inesauribili. C’è l’intenzione di stabilizzare i docenti di sostegno: essenziale, perché i ragazzi con difficoltà hanno più degli altri bisogno di stabilità. Sembra che verranno potenziate materie inspiegabilmente ridotte o addirittura soppresse in diversi indirizzi dall’ultima riforma della secondaria superiore: tra queste, geografia, arte e musica. Frena invece la digitalizzazione dell’insegnamento: probabilmente a viale Trastevere si sono accorti che acquistare Lim (lavagne interattive multimediali) e tablet per ogni classe d’Italia costerebbe troppo; per i prossimi anni si punterà soltanto al potenziamento delle connessioni internet.Altri provvedimenti annunciati suscitano invece qualche perplessità. Ad esempio l’accelerazione sul Clil (acronimo per Content and language integrated learning), cioè l’insegnamento alle superiori di alcune materie in inglese. Il primo problema è pratico: mancano insegnanti adeguatamente preparati, perché sinora per la formazione a tale attività non sono stati previsti incentivi contrattuali (cioè chi ha seguito i corsi di formazione l’ha fatto su base volontaria) e in molte scuole non ci sono docenti in grado di insegnare in inglese, poniamo, storia, filosofia o scienze naturali. Il secondo problema è di opportunità: benissimo potenziare l’insegnamento dell’inglese, ma siamo davvero sicuri che rappresenti un guadagno formativo per uno studente ricevere l’insegnamento di materie complesse e impegnative in una lingua diversa dalla propria? La discussione deve rimanere aperta.Sembra invece rientrata – a meno di un improvviso coniglio dal cilindro – l’ipotesi, circolata ai primi di luglio (con immediate, prevedibili reazioni polemiche da parte dei sindacati) – di aumentare l’orario di servizio dei docenti di medie e superiori dalle attuali 18 ore settimanali di insegnamento fino a 36. Il che è un bene: per chi svolga un altro lavoro, può essere difficile immaginare che cosa significhi stare 18 ore a settimana su un “palcoscenico”. Non diciamo, tuttavia, che l’eventuale aumento dell’orario di presenza dei docenti debba necessariamente essere un tabù. Sarebbe però auspicabile che modifiche dei doveri di servizio scaturissero da un nuovo contratto (dotato di adeguata copertura finanziaria), sui cui contenuti coinvolgere le parti sociali, e non da una legge-delega (come ventilato il mese scorso negli ambienti ministeriali). Ricordiamo che, come per altre categorie del pubblico impiego, il contratto nazionale collettivo del personale della scuola è scaduto da cinque anni.Detto questo, si comprendono le ragioni per le quali da più parti si chiede un’apertura delle scuole per un numero di ore maggiore dell’attuale: anche questo provvedimento sembra che sarà contenuto nel decreto di fine agosto. Molte famiglie vedrebbero di buon occhio una più larga disponibilità degli istituti scolastici ad accogliere i ragazzi oltre l’orario delle lezioni curricolari. Anche questo non è un tabù: benissimo se le scuole potranno essere aperte anche di pomeriggio e nei periodi di vacanza. Attenzione però a due aspetti. Il primo: che la scuola non perda la propria identità culturale, formativa ed educativa, diventando un luogo di “babysitteraggio” o di semplice “intrattenimento”, per quanto qualificato. Ciò determinerebbe fatalmente un impoverimento e una dequalificazione del suo ruolo, anche sociale. Secondo aspetto: se il tempo della scuola diventa “totalizzante”, la scuola rischia di diventare “totalitaria”, andando a rappresentare l’unico luogo di sviluppo intellettuale, morale e culturale dei giovani. Al contrario, è bene che la crescita di un ragazzo avvenga attraverso una pluralità di esperienze e di agenzie formative: la scuola, certo, ma anche le attività sportive, i gruppi giovanili, l’associazionismo, il volontariato, la parrocchia.
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