sabato 28 maggio 2016
Marcello, un uomo solo. Morto solo e dimenticato. Che ci interroga. Tutti
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Si chiamava Marcello. Era un uomo solo. Ed essere solo è terribilmente triste. Un signore che non conosco mi ha recentemente scritto: «La solitudine a una certa età è orribile». Credo che sia orribile anche in età giovanile. Marcello era un uomo solo e in solitudine lo ha trovato sorella morte, cinque anni fa. In questi anni il corpo di Marcello è rimasto in casa senza che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Senza che nessuno bussasse alla sua porta. Un uomo solo. Non era vecchio, Marcello, oggi avrebbe all’incirca 60 anni. Viveva a Cagliari. Ma perché si rimane soli? Certo, ci sono persone simpatiche che tutti vorrebbero avere come amiche, e altre con il carattere più spigoloso, più complicato, più introverso. Con le quali non è facile entrare il dialogo. Accade spesso, però, che se si riesce a penetrare in quella che sembrava essere una corazza, si scopre una persona bella. Magari solo più timida e riservata. “Il fine è il primo nell’intelletto e l’ultimo a essere raggiunto” scrive Tommaso d’Aquino. L’amicizia, il buon vicinato, i rapporti con i parenti e i colleghi di lavoro sono valori da desiderare, volere, perseguire. Con caparbietà, volontà, spirito di abnegazione. L’uomo è comunione. Gli altri non sono l’inferno, come qualcuno purtroppo ha scritto, ma lo specchio in cui mi rivedo. Gli altri mi sono indispensabili. Ma gli altri sono diversi da me. Il mio bisogno di dialogare, ragionare, progettare necessita della presenza dell’altro. I miei occhi vogliono contemplare la bellezza e niente è più bello dell’uomo creato a immagine di Dio. Dobbiamo reimparare a tessere rapporti. “Ciascuno raccoglierà ciò che avrà seminato” dice san Paolo. È vero. C’è chi, per pigrizia o altro, semina poco o niente. Semina loglio e non grano. Magari semina grano ma dimentica di raccoglierlo al momento della mietitura. È tutto vero. Ma è altrettanto vero che “chi ha ricevuto di più deve dare di più”. In tutti i sensi. Ci sono persone che hanno poca pazienza? Vanno aiutate. C’è chi non ha imparato a esercitare la prudenza? Occorre dargli una mano. O altri che per un nonnulla sono disposti a rompere una amicizia trentennale: occorre impedirglielo. È probabile che chi resta solo al punto da non essere cercato per anni non abbia saputo amare. O ha ricevuto tante delusioni dalla vita che si è rinchiuso in se stesso come in una fortezza. Magari è affetto da disturbi psichici che gli complicano la vita. Non conosco Marcello. Ma so che era un mio fratello. Che aveva il diritto di bere alla mia fonte. Che anche verso di lui avevo un debito da pagare. So che, come tutti gli esseri umani, avrebbe desiderato amare ed essere amato. Penso che Marcello abbia atteso fino all’ultimo qualcuno che bussasse alla sua porta. Che il telefono squillasse e una voce cara gli dicesse: «Ti voglio bene». È inutile, ingiusto, pericoloso, però, incolpare qualcuno. Chi si sente accusato ingiustamente, soffre. Non deve accadere. La sete di bene deve fare bene a tutti. Purtroppo le luci accese sui drammi della solitudine durano poche ore, poi ritorna il silenzio. E invece occorre chiederci in che modo possiamo venire incontro a questi fratelli. Come aiutarli a non gettare alle ortiche l’anello che gli fu messo al dito dalla donna che gli disse “sì”. Come stargli accanto quando la depressione, nera come la pece, lo ha fatto prigioniero. Come andargli incontro quando la disoccupazione lo ha tagliato fuori dal mondo civile. No, non archiviamo frettolosamente il caso. Marcello non è solo un nome. Marcello è una persona. Marcello è l’emblema della solitudine che uccide. È il grido degli uomini e delle donne soli che ci stanno chiedendo aiuto. Magari a voce bassa e con lo sguardo spento. Lasciamoci interrogare. Senza paure e senza complessi di colpa, ma con il solo desiderio di fare meglio. Vogliamo che nei nostri paesi, nelle nostre città opulente e contraddittorie, nelle nostre parrocchie, nessuno abbia più a soffrire e a morire senza una parola buona sussurrata da una persona cara. Gesù ci ha raccomandato di prenderci cura delle persone povere, bisognose di pane e di conforto, di farci voce dei deboli perché i potenti non li sfruttino a loro vantaggio, di visitare gli ammalati e i carcerati, perché sono i suoi amici più cari. Facciamolo. Non accada che la troppa delicatezza e il timore di invadere gli spazi altrui possano trasformarsi in una sorta di educata noncuranza.
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