venerdì 4 maggio 2012
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In nessun altro ambito, più che nelle scienze biomediche, si può meglio constatare quanto affermato dal Papa ieri nell’incipit del suo discorso per i 50 anni della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica: «Davvero il nostro è un tempo in cui le scienze sperimentali hanno trasformato la visione del mondo e la stessa comprensione dell’uomo». Da un lato, infatti, siamo in grado di penetrare sempre più profondamente nella comprensione di come è fatto l’uomo, osservandone il funzionamento <+corsivo>in vivo<+tondo> con tecniche di immagine spettacolari e viaggiando al suo interno grazie alle nanotecnologie. Dall’altro, applicazioni tecnologiche in medicina (basti citare procreazione artificiale, trapiantologia, ingegneria genetica, psicofarmacologia, tecniche di terapia intensiva, medicina rigenerativa) sembrano convergere nel sollevare interrogativi su chi realmente sia l’uomo, proprio colui del quale la nostra società sembra smarrire essenza e significato.Sull’altare della scienza, ridotta a empirismo, sembra debbano essere sacrificate oggi la possibilità stessa di riconoscere una verità sull’uomo e un’etica valide per tutti. Eppure dovrebbe essere ormai evidente che una tale scienza, se anche moltiplicasse all’infinito le sue applicazioni, non potrà mai rispondere agli interrogativi più profondi: che senso hanno la nascita, la sofferenza, la morte? Perché esiste il male? Perché l’uomo è capace di compierlo? Se liquidasse questi interrogativi come a-scientifici o pre-scientifici, anche una medicina capace di offrire le migliori soluzioni non riuscirebbe ad accrescere la nostra felicità.Malgrado ciò, la scienza di oggi, e in particolare quella biomedica, sembra rigettare l’idea che nella natura esista una verità che l’uomo (fatto a immagine e somiglianza del Logos creatore) con la sua ragione può scoprire e riconoscere. Come ha affermato Papa Benedetto, la fede del cristiano – e dell’uomo di scienza in particolare – non è fuga nell’irrazionale; anzi, essa cerca al tempo stesso Dio e la conoscenza. Lo scientismo di oggi invece, reso ubriaco dalla potenza tecnologica, sembra aver smarrito il fine della ricerca e non si rende conto che il rifiuto di riconoscere la razionalità insita nella natura può portare alla fine della scienza, minando alle fondamenta la possibilità stessa del conoscere.Mentre si affannano nel tentativo di cogliere frammenti della verità, troppo spesso gli uomini di scienza sembrano privarsi da soli di uno sguardo più profondo sul reale. Le conseguenze di un approccio riduzionistico non riguardano tuttavia solo la scienza. Senza l’apertura al trascendente, senza la possibilità di una lettura razionale della natura, senza il quaerere Deum, infatti, cade anche la possibilità di un diritto naturale, e con esso la garanzia di diritti inalienabili per ogni persona. Se è negata una verità inscritta nel reale, definire cosa è bene e cosa è male può essere identificato solo attraverso il consenso, non importa come ottenuto. Non a caso nel nostro Paese s’è fatto ricorso proprio al referendum come strumento di azione politica contro la vita.Una medicina non dimentica né del Buon Samaritano né di Ippocrate né della scienza potrà forse aiutare tutta la comunità scientifica, a cominciare da quella biomedica, a recuperare la dignità e il valore dell’uomo.
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