lunedì 17 ottobre 2011
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Oggi siamo tutti indignati. Lo siamo per le ferite inferte ai romani e a Roma. Per le violenze contro le forze dell’ordine, alle quali va la nostra piena solidarietà. E per il danno a un popolo pacifico che voleva manifestare e si è trovato, suo malgrado, a fare da copertura a gruppi organizzati di violenti, forse anche stranieri.Le abbiamo viste le mani alzate di chi non voleva scontri, li abbiamo sentiti i cori "fuori, fuori dal corteo" di chi ha cercato invano di espellere le frange di facinorosi. Quanto è accaduto ieri, però, era non solo prevedibile, ma ampiamente previsto. E c’è da chiedersi se non potesse essere meglio prevenuto. Con controlli di polizia mirati, forse. Ma anche interrogandosi se sia ancora il corteo il modo migliore di manifestare, quando i rischi sono così avvertibili.Perché quelle centinaia di persone che hanno messo a ferro e a fuoco la città eterna sono giovani (e non solo) che hanno pianificato e cercato lo scontro con le forze dell’ordine. Volevano saccheggiare e distruggere, volevano umiliare la polizia e spaventare i cittadini. E non si sono fatti scrupoli neppure di dissacrare una statua della Madonna e un crocifisso. Non s’è trattato dello scoppiare di una rabbia improvvisa, né lo sfogarsi di un disagio sociale. Qui la disperazione vera di chi è disoccupato e la difficile condizione giovanile c’entrano assai poco. Travisati coi caschi e i passamontagna non c’erano gli operai delle aziende che stanno chiudendo, non i laureati che saltano da uno stage a una collaborazione, ma i professionisti della distruzione, assieme a ragazzini carichi di aggressività fine a se stessa, la vita come un videogioco: "tira il sasso al blindato che fa 100 punti". Sotto i vestiti neri, nichilismo e internet sul telefonino.Ma se la violenza è da isolare e contrastare – senza se e senza ma – c’è tuttavia una risposta che si deve comunque a chi era sceso in piazza a manifestare. Ed è smetterla di alimentare il vuoto con cattiva politica e peggior esempio. Smettiamola di dire che "i giovani hanno ragione", che "non hanno futuro", come ora sostengono tutti, senza però essere conseguenti. Si faccia avanti chi ha proposte concrete per riequilibrare i pesi fra le generazioni, evidenziandone però con chiarezza i costi. Chi muove le leve del potere politico, finanziario, economico non si faccia scudo della retorica e cominci ad agire in modo diverso. La precarietà giovanile, la povertà, le tante forme odierne di ingiustizia sociale assai prima che un problema di condizioni esterne, di leggi, sono frutto delle scelte delle singole persone, delle imprese, dei nostri modelli. Indigniamoci. Anche noi. Anche con noi stessi.
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