domenica 9 giugno 2013
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Nelle imprese sta aumentando la gerarchia. Quando la nave rischia di affondare – si di­ce – bisogna mettere da parte le pratiche parte­cipative e ridare il comando al capitano con gli ufficiali pronti a eseguire i suoi ordini. La gerar­chia nelle imprese è un grande tema della de­mocrazia. John S. Mill, più di un secolo e mezzo fa denunciava la persistenza di due realtà feudali al cuore della democrazia moderna. Queste e­rano la famiglia, dove il rapporto tra il marito e la moglie era del tipo padrone-servo, e l’impre­sa capitalistica, basata sul principio gerarchico, eredità del mondo antico. Così Mill proponeva il voto e il lavoro alle donne per superare la fa­miglia feudale, e la diffusione delle cooperative per democratizzare le imprese. Dopo oltre un secolo e mezzo, nella famiglia, soprattutto nelle culture occidentali, l’uguaglianza uomo-donna è sempre più sostanziale (meno nelle imprese e nelle istituzioni). Le imprese capitalistiche, però, restano ancora troppo ancorate al principio ge­rarchico. E così ci ritroviamo con una delle prin­cipali istituzioni della democrazia moderna, l’im­presa, basata proprio, e sempre più, su quel prin­cipio antico (la gerarchia tra diseguali) che la mo­dernità voleva combattere. È questo uno dei tan­ti paradossi del mondo contemporaneo, che noi accettiamo senza troppi problemi e discussioni pubbliche, e che il movimento cooperativo ave­va cercato di superare portando democrazia nel­le imprese (nel consumo e nel risparmio). Questo ritorno di gerarchia deve invece preoc­cuparci, perché le imprese, e tutte le organizza­zioni, vivono e crescono bene quando sanno ab­binare al principio gerarchico altri principi co­essenziali. Uno di questi è quello che Aristotele chiamava philia, una parola che oggi possiamo tradurre, più o meno, con amicizia o reciprocità non contrattuale. Un’impresa non funziona quando le relazioni si appiattiscono sul solo re­gistro gerarchico, perché le manca l’altra colon­na di ogni organizzazione, e cioè il sentirsi par­te di un destino comune e di un bene comune da raggiungere assieme. Se in un’impresa non scatta anche questa dimensione orizzontale, che coinvolge tutti i membri dell’impresa, quella i­stituzione potrà anche fare profitti e pagare sa­lari, ma non sarà mai un luogo dove la gente vi­ve bene e fiorisce in umanità. Anche le relazio­ni aziendali sono relazioni sociali, nelle quali at­tiviamo non solo il registro del puro calcolo de­gli interessi, ma tutte le nostre emozioni, pas­sioni, speranze, amore. Così quando manca la philia tra tutti, nelle imprese mancano l’entu­siasmo e la gratuità; e senza entusiasmo e gra­tuità non si innova né si esce dalle crisi. Va poi ricordato che la gerarchia, che è uno dei princìpi più primitivi, nasce per garantire e ge­stire l’immunità e quindi la separazione tra pu­ro e impuro. Il bisogno di immunità dagli 'im­puri' è fondamentale per comprendere ogni for­ma di gerarchia, da quelle arcaiche a quella del­le imprese capitalistiche, dove tra i top manager e gli operai dei reparti non c’è alcun vero con­tatto. Ma se le imprese non compensano l’im­munitas della gerarchia con la communitas del­la reciprocità, diventano alla lunga dei luoghi in­vivibili, e non di rado disumani. Le nostre im­prese hanno prodotto e producono ancora buo­na vita insieme a buoni prodotti perché l’im­prenditore era, ed è, anche un lavoratore accan­to agli altri, spesso artigiano e quindi gomito a gomito con i suoi dipendenti, loro compagno di pane e di strada. È anche vero che in certi mo­menti e in certe funzioni l’imprenditore, o il ma­nager, è diverso dai suoi operai - nel prendere u­na decisione strategica, nel fare un rimprovero, nelle responsabilità, nei doveri, nei guadagni, e nelle perdite. Ma molte altre volte è uno o una di loro, con lo stesso destino e compito etico: far vi­vere e crescere impresa, comunità, famiglie, so­gni. È questa la vera solidarietà dell’impresa, che, quando c’è, ne fa un brano di vita autentica e buona: imprenditori, dirigenti, impiegati, lavo­ratori, tutti diversi e tutti uguali, ordinati dalla gerarchia e dai contratti ma prima legati reci­procamente da philia e da patti, spesso implici­ti ma non meno importanti dei comandi e dei contratti. Quando la comunità aziendale non sente, in al­cuni fondamentali momenti, il manager o l’im­prenditore come parte di sé perché non fa mai l’esperienza dell’uguaglianza con tutti, l’impre­sa non riesce a tirar fuori da ogni persona il me­glio. Né riesce a generare felicità vera, che nasce da rapporti tra uguali, da incontri 'occhi negli oc­chi', come fu, ed è, quello pieno di stupore e di gioia tra l’uomo (Adam) e la donna (Eva). E cco perché la mancanza di gioia e di festa è sempre un primo segnale che in un’impresa, e in qualsiasi organizzazione, sta scomparendo la philia per lasciar spazio ai soli rapporti formali e gerarchici. Le feste aziendali veramente utili, e per questo troppo rare, sono quelle dove anche i 'capi' si lasciano prendere in giro, mangiano e bevono con e come tutti. Se manca questa uguaglianza nella festa, anche i brindisi natalizi finiscono per rafforzare le distanze, le gerarchie, le immunità. Quando la nave affonda la sola gerarchia sembra essere più efficace. Ma chi ha vissuto vere crisi sulle vere navi, nelle comunità e nelle imprese, sa invece che se durante i tempi ordinari non si investe in philia e in reciprocità, si è forse più efficienti nella gestione delle piccole crisi, ma si affonda veramente nelle grandi, quando ti serve l’anima e il cuore delle persone, e non li hai. Ti servirebbe la forza dei patti, e ti ritrovi invece con la debolezza dei soli contratti e degli organigrammi di carta. La philia che sembra più debole – perché più prossima e 'contaminata' – del nudo comando, è in realtà più forte e resiliente nei momenti nei quali serve quella tipica forza morale collettiva che nasce dalla consapevolezza e dall’esperienza quotidiana della mutua fragilità e vulnerabilità. Una forza invisibile che conoscevano bene i contadini e le donne nelle società di ieri (e che conoscono anche in quella di oggi). Quando alla gerarchia si affianca la philia, la gerarchia non è più la stessa: si trasforma, si umanizza, si fraternizza, sembra perdere forza mentre in realtà l’acquista – purché la philia non sia solo faccenda di retorica e di pacche sulle spalle, ma diventi prassi aziendale, governance, regole del gioco, e anche politiche salariali eque e diverse, come ci insegna ancora oggi Adriano Olivetti. Un dirigente che sa farsi prossimo e solidale con i suoi compagni di viaggio non è meno forte di chi tiene le distanze non contaminandosi. Ma queste capacità e questi talenti non si imparano nelle business school del capitalismo, dove, anzi, vengono biasimati e avviliti, perché considerati 'perdenti'. La betulla non è meno forte del pino - chiedetelo al vento di tempesta. In questa stagione di passaggio e di burrasca dell’economia e della vita civile, ci serve un nuovo investimento in relazioni umane e in una cultura organizzativa. Ci serve la forza della betulla. ​​​​
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