venerdì 11 ottobre 2013
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Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ieri sono stati protagonisti di un’azione politica clamorosa. Leader e cofondatore del Movimento 5 Stelle, che non siedono in Parlamento, hanno sconfessato pubblicamente i "loro" senatori per aver presentato e fatto approvare un emendamento che elimina il reato di clandestinità. Il motivo principale? L’argomento non era «nel programma», anche perché «se avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico». Il diktat della coppia Grillo-Casaleggio ha scatenato il popolo della rete e prodotto tra gli elettori grillini uno scontro aperto sia sul valore del provvedimento che ovviamente sulla modalità con cui i senatori sono stati richiamati all’ordine. Nel non-partito sembra essersi prodotta una profonda spaccatura, mentre l’ex comico e il guru si sono attirati una lunga serie di critiche dal fronte politico. «Anti democratici», «giustizialisti», «leghisti», «fascisti», i giudizi più ricorrenti. Quanto accaduto può essere indicatore di molte cose. Una di queste è probabilmente la crisi di identità che sta attraversando non solo M5S, ma una vasta fascia di politici di professione, parvenu della politica, semplici elettori. Non è questione di avere idee differenti o sensibilità articolate, di accettare o meno una disciplina di partito, ma di chiedersi se ci si trova nel "contenitore" giusto. Se cioè la formazione politica alla quale si fa riferimento coincide con il proprio quadro di valori e la personale idea di società. Il Movimento 5 Stelle è l’aggregato che più dà corpo a questa tendenza. Può prevedere passaggi di democraticità elevatissima grazie al supporto della tecnologia, ma la sua natura e l’esito finale dell’architettura morale che lo regge conduce in un campo ben diverso. Il concetto di libertà di coscienza non lega mai con la tecnocrazia quando tende all’autoritarismo. E il rispetto di una linea di condotta interna regge se, appunto, il contenitore politico è sufficientemente solido nella capacità di orientare a un bene comune in nome di valori fermi e condivisi. Lo scollamento tra la "casa" e i "cittadini" che la abitano sembra però riguardare molti più soggetti. Grillini che pensano di vivere nel Pd, democratici che vorrebbero essere grillini, pidiellini che si sentono "diversamente" tali. Non si tratta di semplici cambi di opinione o di vocazione al trasformismo, peraltro caratteristiche inevitabili nei lunghi periodi della politica. Nemmeno di capacità di onorare il principio costituzionale che collega il parlamentare alla «nazione» e lo libera dal vincolo di mandato. E forse non è neppure semplice dibattito "interno". Lo sarebbe se l’edificio politico fosse sufficientemente robusto e gli inquilini pienamente consapevoli delle sue caratteristiche strutturali. La sensazione invece è che la forzatura del bipolarismo abbia prodotto un popolo di eletti (e di elettori) cui ormai vanno sempre più stretti gli abiti in cui ci si trova avvolti. Il campo dei temi eticamente sensibili lo mostra con evidenza, ma non è l’unico. Dire ad esempio dal fronte del Pd che esiste un’«evasione di sopravvivenza», come ha fatto di recente Stefano Fassina, può rappresentare la capacità di riconoscere una drammatica verità in tempo di crisi, ma anche avallare la prassi di caricare tutto il costo dei servizi territoriali sulle spalle di chi sopravvive senza poter evadere. Riconoscersi "diversamente berlusconiani", come fatto dal segretario del Pdl Angelino Alfano, può aprire la porta a una fase politica nuova e inedita per il centrodestra, improntata al senso di responsabilità, ma resta una profonda contraddizione in termini che non stride solo con il passato.È una stagione di "diversamente uguali", nella quale i riferimenti tradizionali appaiono tutti saltati e rendono importante una lunga e trasversale fase di rielaborazione e una di ricostruzione. Un disorientamento che tocca, in modo serio, anche gli elettori, come privati della capacità di comprendere non solo "chi" votare, ma "cosa" e soprattutto "perché". Una fase di recupero del significato di termini come responsabilità e solidarietà nella quale le strane maggioranze, le larghe intese o le grandi coalizioni – le si chiami come si vuole – appaiono forse più inevitabili e rappresentativamente ampie di quanto si creda.
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