sabato 3 ottobre 2015
La Germania 25 anni fa tornava ad essere una sola nazione. L’unità politica e sociale alla prova dell’immigrazione. Vincenzo Savignano
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​«Generation 1990», «Generazione 1990». Li chiamano così i giovani nati 25 anni fa. Sono i primi cittadini della nuova Germania unita, nati e cresciuti in un Paese non più diviso tra chi la democrazia l’aveva finalmente conosciuta dopo le tenebre del nazismo e chi la democrazia, per quattro decenni, l’aveva sognata nell’oscurità della dittatura comunista. La Generation 1990 ha i riccioli biondi e gli occhi azzurri di Ramona, nata in Turingia, laureata in Scienze politiche, oggi vive a Berlino e fa parte della Junge Union, i giovani dei cristiano-democratici della Cdu. La «Generation Einheit» ha anche l’intelligenza e la voglia di fare di Sebastian, nato nel Bayern, e ora trasferito a Lipsia per completare i suoi studi in ingegneria informatica. La «Generazione dell’unità» ha anche lo sguardo fiero di Ilkay, nato a Gelsenkirchen nel cuore della Ruhr, figlio di un Gastarbeiter, un minatore turco, oggi è Gündogan, l’eroe di tanti bambini turchi-tedeschi, centrocampista del Borussia Dortmund e della nazionale tedesca di calcio. Ma la Generation 1990 ha anche il ghigno e la rabbia di Jens. Vive nella periferia di Rostock, disoccupato, rasato e sempre vestito di nero, fa parte del movimento anti-salafita, lo scorso anno quando ha sfilato a Colonia con lui ce n’erano altri 30mila. Tra di loro probabilmente ci sono quelli che di notte fanno svastiche sui muri e bruciano le case che dovranno ospitare i rifugiati siriani. La Germania entro la fine dell’anno ne attende 800.000, ma potrebbero anche arrivare a 1 milione. Il Paese, a 25 anni dalla sua unificazione, «è pronto a questa sfida», ha assicurato il governo di Berlino, che punta anche sulla «cultura dell’accoglienza della popolazione tedesca, nata negli anni 50’ e 60’ e poi consolidatasi nei decenni successivi», ha sottolineato ad Avvenire il professor Jochen Oltmer, docente di storia della Migrazione e membro dell’Imis, Institut für Migrationsforschung und Interkulturelle Studien, Istituto di ricerca sull’immigrazione e di studi interculturali dell’Università di Osnabrück. L’Istituto ha analizzato non solo la storia e le conseguenze socio-economiche dei flussi migratori provenienti dall’estero, ma anche i movimenti interni della popolazione tedesca soprattutto dall’unificazione del 1990 ad oggi. E l’Imis, come anche l’ufficio centrale di statistica di Wiesbaden, ha rilevato che «per la prima volta dal ’90 si è interrotto il flusso migratorio a senso unico dalle regioni dell’Est a quelle dell’Ovest», aggiunge il professor Oltmer.
Nel 2014 è transitato nelle due direzioni quasi lo stesso numero di persone: 97.000 dall’Est all’Ovest e 93.700 in direzione contraria. Si tratta di un’importante inversione di tendenza se si considera che tra il 1991 e il 2014 più di 1 milione e 200mila tedeschi ha abbondanato i Länder orientali per cercare fortuna a occidente. Ma oggi la musica sta cambiando, assicurano dalla Confindustria tedesca. Il mondo della piccola e media impresa, secondo il Bundesverband der Deutschen Industrie, in Germania Est è risorto e l’industria in generale cresce più velocemente che all’Ovest: 1,4 contro l’1% e corrisponde al 19% del Pil totale deiLänder della Germania orientale. Indicativo anche il dato sulla disoccupazione crollata dal 20% del 1990 al 9,8 di oggi. I bilanci dei nuovi Länder come il Brandeburgo e la Sassonia si stanno consolidando, mentre nel profondo Ovest come nel Nordreno-Westfalia, Assia e Saarland, il debito pubblico continua a crescere. Città come Lipsia e Dresda, restaurata come un tempo e considerata per la sua bellezza architettonica la Firenze dell’Elba, sono diventati in pochi anni tra i centri più ambiti da studenti universitari e rappresentanti del mondo culturale tedesco ed europeo.
Per tutti questi motivi i media in questi giorni di celebrazioni sostengono che la Germania sta vincendo la sua scommessa, costata molti sacrifici e soprattutto 2.000 miliardi, investiti dallo Stato federale e dai Länder occidentali più ricchi. Una scommessa che 25 anni fa venne presentata dall’allora cancelliere Helmut Kohl come un obbligo morale e politico nei confronti dei tedeschi orientali ma anche di tutta l’Europa. Nei primi anni di unificazione in pochi credevano nei vantaggi dell’annessione, così come venne definita negativamente da alcuni attenti osservatori dell’epoca. Il filosofo e sociologo, Jürgen Habermas, e il premio Nobel per la letteratura, Günter Grass, si opposero alla riunificazione, temendo addirittura un ritorno all’epoca buia del nazismo. Anche la leggenda vivente della socialdemocrazia tedesca, Helmut Schmidt, sollevò più di un dubbio sull’adesione dei Länder dell’Est alla Repubblica federale, sostenendo che l’ex Ddr rischiava di diventare un «Mezzogiorno senza mafia».
Timori alimentati anche dallo scetticismo di altre Nazioni, in primis l’Inghilterra, la cui carta stampata, alla fine del XX secolo in più di un’occasione, definì la Germania «il grande malato d’Europa». Ma con l’inizio del nuovo secolo c’è stato l’inatteso scatto di reni, iniziato con le riforme del welfare e del sistema economico-produttivo, volute fortemente dall’ultimo cancelliere socialdemocratico, Gerhard Schröder. Decisioni coraggiose ed impopolari che misero in crisi la stessa Spd, favorendo l’ascesa dei cristiano-democratici e di Angela Merkel. E proprio la cancelliera, cresciuta nella Ddr tra coloro che la democrazia la sognavano, da molti oggi viene indicata come uno dei principali artefici della creazione della nuova Germania unita. La grande intuizione della Merkel, per vincere la scommessa della riunificazione, è stata quella di riunificare le due grandi anime politiche della Germania federale, guidare per due mandati su tre una Große Koalition tra Cdu ed Spd, riconoscendo da cristiano-democratica i grandi meriti politici della socialdemocrazia nella storia politica e sociale della Germania federale.
Oggi ad un quarto di secolo dal 3 ottobre 1990, in tanti sostengono che l’unità è realtà. La Germania ha superato a testa alta la più grave crisi economica europea del secondo dopoguerra ed è in cerca di una nuova identità nello scenario geopolitico mondiale, ma deve ancora stabilire se svolgere il ruolo di guida nel processo di unificazione ed integrazione dell’Unione europea. Il suo venticinquesimo compleanno è stato però macchiato dallo scandalo Volkswagen. L’enorme truffa messa a punto dai vertici del colosso automobilistico di Wolfsburg rischia di gettare un’ombra indelebile sul tanto celebrato modello economico tedesco. Anche la generosa accoglienza di centinaia di migliaia di profughi sta originando un duro scontro all’interno del mondo politico e dell’opinione pubblica. Il popolo tedesco in 25 anni è riuscito a cicatrizzare la ferita della guerra fredda, ad accogliere ed integrare se stesso, ora da Paese europeo con il maggior numero di stranieri è chiamato ad accogliere ed integrare milioni di migranti e rifugiati. È questa la grande sfida del XXI secolo della nuova Germania unita, il Paese più ricco, potente e tra i più giovani d’Europa, generato nel 1990.
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