mercoledì 21 novembre 2012
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Nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere l’opera a cui dedicarsi da "pensionato". Il progetto accarezzato per tanti anni, e sempre rinviato, e finalmente preso in mano nel 2003, a 76 anni, quando il tempo del (meritato) riposo sembrava essere prossimo. Poi Papa Wojtyla gli chiese: "Aspetti un altro po’...". E poi, arrivò il 2005, e le cose sono andate come sono andate, e come tutti sanno.Una premessa breve, questa, ma indispensabile, per dirci - anzi ri-dirci, una volta di più - qualcosa di importante di e su Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, così come egli stesso si firma ancora una volta, nel terzo e ultimo libro su Gesù, pubblicato ieri. Ci dice, in primo luogo della tenacia con cui, dedicando a questa impresa letteralmente ogni ritaglio di tempo all’interno di un’agenda senza pause, abbia voluto e saputo perseguire un’idea che, scriveva nella prefazione al primo dei tre volumi, vedeva come esito e culmine di quel "lungo cammino interiore" iniziato fin dal "tempo della sua giovinezza", per ricucire "lo strappo tra il Gesù storico e il Cristo della fede", iniziato a partire dagli anni Cinquanta. E, dunque, non tanto come momento di sintesi della sua già sterminata produzione accademica - cosa che, in sé, sarebbe stata comunque più che comprensibile - quanto piuttosto come parte imprenscindibile della sua missione di sacerdote e di teologo. Una tenacia, insomma, che è perfetta rappresentazione, testimonianza, di quella dedizione senza riserve che, come Benedetto XVI ha ripetuto in tanti discorsi, specie ai seminaristi, deve essere alla fine il tratto distintivo dell’essere prete.Insieme a questo, e in collegamento diretto, l’altra cosa che, al di là dei contenuti, il terzo libro su Gesù ci dice, riguarda direttamente il ministero petrino di Benedetto XVI, e il modo straordinariamente moderno in cui lo interpreta. "Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente - scriveva nello stesso testo già citato - che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione". Una precisazione non casuale, ribadita in tutti e tre i volumi, dove la cosa forse più straordinaria è l’aperta disponibilità di un Papa - la doppia firma non è casuale, in questo senso - a mettersi e a essere messo in discussione, con il garbato invito a mettere da parte i pregiudizi sulla persona (la sua persona) e a concentrarsi invece sul contenuto della riflessione.Anche a questo proposito, non si tratta di qualcosa di inedito nella storia di Benedetto XVI. Spesso, dalla sua elezione a vescovo di Roma, e nelle più diverse occasioni - dagli incontri coi sacerdoti a quelli con i rappresentanti di altre religioni - ha voluto sottolineato di parlare "non da Papa", ma da "semplice" uomo di fede. Una distinzione né pedante né retorica, ma il modo concreto di dare veste e forza al suo insistito invito a non rinunciare mai al dialogo ispirato dal desiderio di comprensione reciproca, al suo incessante sforzo di rivolgersi all’intelligenza degli uomini, a prescindere dal credo e dalla cultura. Al suo mettersi costantemente alla pari col proprio interlocutore, mantenendo sempre distinto il livello confessionale da quello secolare. Perché è da questo dialogo, da questo "luogo" in cui fede e ragione possono, alla fine, davvero mettersi in relazione, che si può pensare e sperare di costruire, tutti insieme, il bene dell’uomo.
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