giovedì 3 marzo 2016
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Quando le cronache ci parlano di auto lanciate a corsa folle da conducenti ubriachi o drogati, di autostrade infilate contromano, di gruppi di persone ferme sotto la pensilina del bus falciate da un’auto che piomba su di loro come un proiettile impazzito, ci monta il sangue al cervello. Basta con questa follia, i morti sulla strada in Italia sono circa 3.200 ogni anno, i feriti 240mila (Istat 2015). Secondo l’Istituto superiore di sanità (anno 2014) un terzo di quei morti è causato da incidenti correlati all’abuso di alcol. Più di mille, ecco: una strage quotidiana che non solo ci sdegna, ma ci pesa sul cuore e sulla coscienza. E per reazione ogni volta che nuove cronache aggiungono nuove pugnalate diciamo: in galera chi uccide così, in lunga galera, e non fateli più guidare, mai più.Ci avevamo già provato a scrivere pene aspre, con il decreto-legge n. 92 del 2008 (pacchetto sicurezza), impiantando nel codice penale la reclusione da tre a dieci anni per la guida ubriaca o drogata che uccide. Sicuramente non è bastato, se appena qualche tempo dopo quei dieci anni di galera sono parsi pochi, e s’è cominciato a pensare di costruire una figura di delitto speciale e autonomo, l’omicidio stradale appunto, separato dagli altri. Era il ferragosto del 2011, in Liguria sull’autostrada A26 un’auto guidata da un ubriaco contromano aveva ucciso quattro giovani francesi, e il ministro dell’Interno di allora annunciò il proposito di introdurre nel codice l’omicidio stradale. E si discuteva, fin da allora, se ciò fosse proprio necessario, visto che le pene aspre c’erano già, e che i giudici potevano già al limite interpretare la guida ebbra persino come un "dolo eventuale" (e dunque arrivare all’accusa di omicidio volontario). E c’era anche chi temeva qualche contaminazione delle categorie fondamentali della dottrina penalistica, fondata sui capisaldi inconfondibili del dolo e della colpa, distinti e non pasticciabili.Queste riflessioni ci sono ancora, cambiata la legislatura, e la riluttanza a introdurre nuove rubriche, nuove tipizzazioni, nuovi reati "speciali" ha naturalmente qualche ragione sistematica. La soluzione da ultimo escogitata sembra acconcia, perché lascia scritto bello chiaro che si tratta di un delitto "colposo" (come gli altri del genere) però così grave da star fuori dal mucchio. Con buona pace dei teorici, la sostanza è che la pena per chi guida ubriaco o drogato e provoca la morte può raggiungere ora i 12 anni, e se i morti sono più d’uno i 18 anni; durissima anche la disciplina della patente revocata, prima di rifarla il tempo di penitenza può arrivare a 30 anni. Pensiamo che l’impronta così forte della severità possa spiegarsi, se però ci dà qualche speranza di efficacia migliore delle minacce del passato. L’utilità delle leggi si proietta nel futuro, si misura con le condotte modificabili. Le norme solo "colleriche" pagano il dazio all’attesa emotiva, quasi a placare rimorsi o a saldare debiti con il passato. Qualche sfumatura si percepisce anche nei lavori parlamentari, quando si dice che «non risulta ancora sufficientemente soddisfatto il bisogno sociale di una sanzione più severa nei confronti di chi, sulle strade, cagiona la morte di vittime innocenti». Ma il bisogno sociale primo è in realtà «meno morti sulle strade» per il futuro (e in Europa si progetta così: dimezzarli entro il 2020, cfr. Memo/10/343 della Commissione).Forse occorre concordia nel capire quanto contano gli "stili di vita" nell’approccio con il consumo di alcol, che un seduttivo mercato di bevande light propone ai ragazzi come iniziazione; e ancor più nell’impatto con le sostanze psicotrope che un’opinione banalizza come leggere; e quanto deve martellarsi lo slogan che "se bevi non guidi, se guidi non bevi" fino a farsi norma spontanea di indiscusso costume. E concordia nella prevenzione, col desiderio di scongiurare in anticipo i rischi delle tragedie stradali. Benvenuta la nuova legge, se salverà qualcuno dalla morte. Ma resta inteso che questo traguardo dipende anche da altro che allungare di un’altra spanna la galera promessa, a funerali avvenuti.
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