martedì 27 maggio 2014
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​Si può pensare di aver già visto tutto. Ci si può perfino credere. Poi basta poco: una fronte appoggiata su un muro; un invito semplice, «venite a casa mia per pregare insieme»; un "Padre nostro" recitato assieme al Patriarca ecumenico. E si capisce di non aver visto ancora niente, e che anzi c’è ancora tanto da vedere. E che le cose a cui credere, semmai, sono altre.Aveva annunciato il Papa che in Terra Santa, il suo, sarebbe stato un pellegrinaggio. Come tale Francesco l’aveva immaginato, e come tale l’ha voluto e vissuto, dall’inizio alla fine. E un pellegrinaggio si nutre e vive di preghiera, esattamente come è stato. Così che, alla fine, è stata la proprio preghiera a rimescolare le carte dell’atteso, dello scontato, del già visto, del già commentato. La preghiera silenziosa davanti al muro – la «Barriera di sicurezza», come la definisce Israele – che isola la Cisgiordania dalla vita...

La preghiera a cui ha invitato, in Vaticano, il presidente israeliano Simon Peres e quello palestinese Abu Mazen. E la preghiera pronunciata a voce alta nel Santo Sepolcro, rompendo decenni di quello <+CORSIVOIDEE>status quo<+TONDOIDEE> che ha finito per ridurre persino i luoghi santi in un terreno di scontro tra cristiani, facendo risuonare in cento lingue diverse la preghiera di tutti i credenti in Cristo.Preghiera che cambia, che trasforma, e purifica. Dopo la quale niente potrà più essere come prima, e niente, davvero, lo sarà. Chiave che dà senso e spessore alle cose, e senza bisogno d’altro riesce a entrare anche nelle pieghe più difficili con delicatezza, e ad aprire al nuovo il futuro. Un futuro in cui non c’è posto per la Barriera di sicurezza, in cui due Stati sono inesorabilmente chiamati dalla storia a trovare una forma plausibile di convivenza, in cui i cristiani non diano più scandalo litigandosi i luoghi santi, ma siano testimoni della via del camminare insieme.Tutto questo papa Bergoglio non ce l’ha detto, non l’ha predicato. Ce l’ha mostrato. L’ha fatto capire, a tutti. L’ha reso vivo con un catechismo immediato e l’ha fatto camminare nella storia, sovvertendo la cronaca annunciata. Alle nostre pigrizie, alle nostre rassegnazioni, alle analisi dotte, alle vigliaccherie travestite da prudenza, ha opposto il coraggio della preghiera, l’unica arma vera di tutti i credenti, capace di muovere le montagne, anche quando le montagne sembrano sorde a ogni invocazione.E attenzione a leggere tutto quanto è successo in queste cinquantasei ore in Terra Santa in chiave "politica". Perché se, certamente, ciascuno di questi gesti è stato preceduto – e sarà seguito – da un’attenta riflessione e da un intenso lavoro diplomatico, quello che davvero conta, e resta per sempre, è il segno. Francesco non s’è posto obiettivi di mediazione, non si è ritagliato un ruolo super partes, non ha voluto per sé un piedistallo, consapevole com’è che nessuno, neppure lui, può ergersi più in alto. Ma nella preghiera e con la preghiera, ci ha mostrato, che i fratelli possono ritrovarsi, e tendendosi la mano e tenendosi la mano possono andare più in là, dove la pace si può costruire. Possono dire al Padre che no, lo vedi?, i tuoi figli non si sono persi. E così, finalmente, rispondere alla domanda di Dio: «Adamo, dove sei?».

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