venerdì 8 agosto 2014
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Non è più tempo di calcoli e alchimie geopolitiche. Le considerazioni strategiche su vinti e vincitori dinanzi l’ascesa in Iraq delle milizie jihadiste, lasciamole nei cassetti. Fino a pochi giorni fa, tanti analisti ritenevano che per i curdi la catastrofica sconfitta subita dalle forze armate di Baghdad contro i guerriglieri di Isis fosse una benedizione, ma ora anche i peshmerga, le sperimentate truppe curde, sono in rotta, e rischiano di perdere altro terreno. Contro questi qaedisti, più fanatici e crudeli della stessa al-Qaeda delle origini, contro questa lebbra che infetta il mondo islamico e deturpa il Medio Oriente, specie in Iraq e in Siria, è tempo oggi di fare chiarezza e di agire, uscendo dalla palude di ambiguità, scarso interesse e calcoli di convenienza.Perché Isis - così come le altre formazioni salafite-jihadiste che insanguinano la Siria, la Libia e minacciano altri Stati nella regione - non rappresenta un attore geopolitico come i tanti che si sono contesi in passato e si contendono oggi il Medio Oriente, ma è un’infezione che distrugge le società con cui entra in contatto. Ovunque vadano, i seguaci dell’autoproclamato "califfo" al-Baghdadi seminano morte e terrore: conquistate le zone abitate da sempre dalle comunità cristiane dell’Iraq, hanno imposto l’esilio immediato, come avvenuto ieri nella città di Qaradosh, città quasi completamente cristiana, i cui abitanti sono stati di fatto deportati. Decine di migliaia di donne, bambini e uomini costretti a lasciare le proprie case senza neppure potersi rivestire, in fuga scalzi nel deserto. La più antica comunità dell’Iraq, quella cristiana, che rischia l’estinzione e per la quale ieri si è levato nuovamente il grido di dolore di Papa Francesco. Ancora peggio va alla minoranza degli yaziditi, considerati dai fanatici terroristi islamici come "adoratori del diavolo" e quindi punibili con la morte immediata. O alle donne sciite, a disposizione per i piaceri dei miliziani sunniti. Tutto questo avviene mentre un’altra formazione jihadista, Jabhat al-Nusra, dalla Siria minaccia i confini libanesi e rischia di trascinare il Libano nel gorgo siriano, e in Libia gli islamisti radicali prendono il controllo di Bengasi, aggravando il caos nel Paese.Dinanzi a questa situazione, stupisce - e anzi deprime - il livello di interesse solo svagato di buona parte della comunità internazionale, da un’Europa ancora priva del suo nuovo alto rappresentante agli Stati Uniti, che pure hanno perso migliaia di uomini e parte del loro status di superpotenza proprio fra le sabbie irachene. Le riottosità del presidente Obama a riaprire il "file Iraq" sono ben note e comprensibili, ma è chiaro che gli Usa, già demolitori del regime di Saddam Hussein, non possono assistere inerti a questa tragedia e al collasso definitivo del Paese come entità statuale unica. Ed è qui che tornano i calcoli geopolitici di cui si diceva all’inizio: quelli relativi ai possibili vantaggi di una tripartizione del Paese, fra curdi al nord, sciiti a sud e a Baghdad, sunniti al centro. E al diavolo le altre minoranze. Chi conosce l’Iraq sa quanto rozza e inattuabile sia questa divisione. E quanto le minoranze irachene non siano un orpello, ma parte integrante del tessuto storico e sociale di quel popolo. Tanto più oggi, dato che la componente sunnita non è rappresentata dai tradizionali capi tribali locali, ma da questa internazionale del terrore jihadista. Contro la quale siamo ben lungi dall’agire in modo unitario. Nonostante i proclami, le monarchie sunnite del Golfo mantengono un atteggiamento ambiguo, ossessionate come sono dall’odio settario contro gli sciiti. È tempo allora che Washington e l’Occidente siano meno strabici e meno condiscendenti con questa ambiguità. Per il 15 agosto i vescovi italiani hanno lanciato l’iniziativa "Noi non possiamo tacere", per manifestare la vicinanza e il sostegno alle comunità - cristiane e non solo cristiane - minacciate dalla follia jihadista. Ma è davvero tempo che tutti parlino e agiscano, facendo capire che la comunità internazionale non è più disposta a tollerare questa strage di vita e di cultura della convivenza. Ma a non "poter tacere" dovrebbero essere, prime fra tutte, proprio le autorità islamiche sunnite, spesso ancora troppo esitanti e impacciate nel denunciare questa aberrazione ideologica e dottrinale come non islamica. Perché i jihadisti sì, sono i veri negatori della propria religione.
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