sabato 24 agosto 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
È qualcosa su cui il presidente si gioca una parte importante del suo prestigio, ultimamente scosso dalle critiche bipartisan per la sua esitante politica estera. Ma se il Congresso approverà il progetto sull’immigrazione caldeggiato da Barack Obama, il capo della Casa Bianca potrebbe ben dire di avere vinto almeno due delle battaglie attraverso le quali si era impegnato a ridare fiducia all’America e nell’America: l’estensione dell’assistenza sanitaria e la regolarizzazione di molti milioni di immigrati presenti nel Paese. Non si tratta di un condono all’italiana, per intenderci, né di una sanatoria o di un’amnistia camuffata, ma di un percorso lungo 13 anni, al cui termine 11 milioni di "residenti illegali" negli Stati Uniti potranno conseguire la piena cittadinanza. Per ottenere l’ammorbidimento della posizione repubblicana, tradizionalmente ostile al "partito degli immigrati", i democratici hanno giocato due carte: la richiesta delle grandi corporation hi-tech di poter attrarre manodopera altamente qualificata dai mercati del lavoro indiano e cinese e la promessa di maggiori investimenti per inasprire i controlli sull’immigrazione irregolare.L’America, notoriamente, è una nazione composta in gran parte di immigrati; a parte i  nativi e i neri trasportati in catene come schiavi, la grandissima parte dei cittadini americani sono discendenti di donne e uomini che erano emigrati dai luoghi natii attratti dalla speranza di una vita nuova e migliore. Ancora oggi, milioni e milioni di cittadini statunitensi sono essi stessi "immigrati di prima generazione", arrivati regolarmente nel Paese grazie a una "carta verde" - il documento che consente di lavorare - e successivamente naturalizzati, attraverso un processo al quale si accede con discreta facilità, a condizione di avere un lavoro e di non aver infranto la legge. Entrambe casistiche in cui, evidentemente, non ricadono gli immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti e che nessun datore di lavoro potrebbe assumere regolarmente. Nel corso dei loro quasi 250 anni di storia, tuttavia, le politiche immigratorie americane sono state tutt’altro che uniformi: talvolta le maglie della rete si sono allargate, talaltra si sono ristrette. Soprattutto nei confronti di alcune specifiche aree di provenienza, poi, l’atteggiamento del legislatore americano è stato sovente ai limiti del razzismo: si pensi all’immigrazione ebraica fino alla Seconda guerra mondiale, o a quella proveniente dall’Asia o dall’America latina. Verso gli ispanici, che rappresentano la gran parte degli 11 milioni di residenti illegali nel Paese, l’atteggiamento è cambiato solo lentamente. Essi sono massicciamente impiegati nei lavori più umili, dove minore è la scolarizzazione richiesta, e quello messicano è l’unico confine terrestre degli Stati Uniti (con l’eccezione del Canada, un vicino avvertito come molto poco "esotico" dagli statunitensi). Il combinato disposto di queste due ragioni ha fatto sì che da un lato la loro voce fosse molto flebile - così debole da raggiungere con difficoltà i corridoi del potere legislativo -, mentre dall’altro fosse molto forte la paura che qualunque misura di indulgenza nei loro confronti avrebbe finito con l’attirare una vera invasione. La crescita della comunità ispanica in  rapporto alla popolazione americana complessiva e la rilevanza del voto "latino" nelle due vittorie di Obama, ben più del fatto che anche Obama è un immigrato di seconda generazione, spiegano come mai oggi il peso della speranza sia divenuto più forte di quello della paura. Anche la Chiesa cattolica americana ha giocato un ruolo decisivo nel rendere possibile il raggiungimento di un simile risultato. Al di là delle posizioni di tradizionale apertura all’ospitalità dell’altro, va ricordato che la confessione cattolica è quella più rappresentata al Congresso (30%) e che gli 11 milioni di residenti irregolari sono in gran parte cattolici. Un impegno, quello della Chiesa, che non è venuto meno benché le posizioni dell’amministrazione Obama su questioni come i matrimoni omosessuali o le pratiche mediche connesse all’inizio e al termine della vita siano giudicate con molta severità dalle gerarchie. Quasi a ricordare che il significato di "valori non negoziabili" non deve essere sempre e solo associato a inflessibili dinieghi, ma anche ad aperture, dove gli insuccessi dei primi non devono impedire il successo delle seconde.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: